Pyonyang è il viaggio del fumettista canadese Guy Delisle nella capitale nordcoreana, tra monumenti mastodontici e l’onnipresente venerazione per i leader del Paese. Con lui l’autore ha con sé una copia di 1984 di Orwell e una radio, di fatto illegale a Nord del 38esimo parallelo. L’accostamento è spesso automatico. Quando si parla di regimi e sistemi totalitari la mente corre a Eric Blair, meglio conosciuto come George Orwell e al suo 1984. Ed è con in valigia la distopia orwelliana, e una radio in realtà portata illegalmente per distrazione, che il canadese Guy Delisle affronta due mesi in Corea del Nord lavorando in un progetto d’animazione.
Il risultato è Pyongyang, reportage a fumetti dal cuore del Paese eremita, che in realtà eremita inizia a non esserlo più già da un po’ di tempo. Edito in Italia nel 2006 da Fusi orari e ripubblicato quest’anno da Rizzoli Lizard , è il secondo dei resoconti di viaggio dell’autore dopo Shenzhen e cui faranno seguito negli anni Cronache birmane e Cronache di Gerusalemme.
Dalla prima uscita in lingua originale sono passati ormai dieci anni. Allora neppure si parlava di Kim Jong Un, trentenne dittatore al potere da poco più da un anno e mezzo e terzo esponente della dinastia rossa al comando da oltre sessant’anni. Dieci anni fa c’erano soltanto loro: Kim Il Sung, l’eterno presidente morto nel 1994 che nel 1948 -lo stesso anno in cui Orwell scrisse 1984- fondò la Repubblica democratica popolare di Corea, e il Caro Leader, Kim Jong Il, stroncato da un attacco cardiaco a dicembre 2011.
Delisle sfrutta l’ironia per raccontare i giorni trascorsi nel Paese. Parla dei ritratti dei due leader con sul bavero le spillette con la loro immagine che a sua volta avranno sicuramente addosso una spilla con il loro volto e così via se si potesse continuare all’infinito.
Ci sono i dialoghi con le praticamente onnipresenti guide che non si capisce quanto credano o meno a quanto dicono e quanto siano intrise di propaganda. “Cosa ne pensi di Parigi, la torre Eiffel, i bistro, le belle ragazze?” chiede Delisle. “È piena di mendicanti ed è sporca”, risponde l’altro.
Sulla sfondo c’è la città con i suoi imponenti monumenti come la torre del Juche, che celebra l’ideologia dell’autosufficienza su cui si basa il regime, il monumento al Partito unico, l’hotel Ryugyong all’epoca non ancora terminato, la cui costruzione era iniziata 16 anni prima. Un enorme struttura a forma di piramide, come il palazzo del ministero della Verità immaginato da Orwell viene da pensare.
E poi c’è tutta quella comunità di expat, cooperanti, diplomatici che è possibile trovare anche a Pyongyang. Città che nonostante quello che si pensa sta cambiando. E dove si vedono più auto, più cellulari, più caffè.
[Scritto per il Manifesto Asia]