Per l’abdicazione di Akihito serve una riforma «storica»

In by Gabriele Battaglia

L’imperatore del Giappone Akihito sarebbe intenzionato ad abdicare, secondo quanto da giorni ripetono i media giapponesi. Al momento non ci sono conferme ufficiali sulle volontà del sovrano, che a 82 anni, vorrebbe svestire i panni di «simbolo della nazione». La notizia, data dalla tv nazionale Nhk il 13 luglio, ha ovviamente fatto molto rumore. Non succede da duecento anni che un imperatore lasci il trono prima della fine naturale del suo mandato. Per ora sul sito dell’Agenzia imperiale (Kunaicho), dove vengono riportate anche reazioni a pubblicazioni riguardanti la famiglia imperiale, non si trovano né conferma né smentite.

La legge è infatti severa: solo dopo la morte del vecchio imperatore, se ne può fare uno nuovo. Il concetto è stato riassunto da un’affermazione attribuita dal quotidiano Asahi a un funzionario dell’Agenzia imperiale. «Un conto è l’esistenza della volontà dell’imperatore; un altro è la sua realizzazione».

Per Il Mainichi shimbun, altro grande quotidiano nazionale, gli ultimi sarebbero stati giorni intensi per gli alti funzionari del Kunaicho, fatti di riunioni fin dalla prima mattinata, spedizioni all’ufficio del primo ministro — del quale l’Agenzia imperiale è formalmente parte seppur largamente autonoma dall’autorità del governo. Un unico obiettivo: studiare una exit strategy per Akihito.

Per permettere ad Akihito di lasciare il trono al figlio Naruhito servirebbe una riforma storica dell’Atto sulla famiglia imperiale del 1947. Questa richiederebbe una discussione parlamentare prolungata e, dicono alcuni, potrebbe portare addirittura alla modifica dell’articolo sulla successione in linea esclusivamente maschile. Il risultato potrebbe essere una monarchia costituzionale più «moderna» su modello inglese.

Akihito ha sempre mostrato il massimo impegno nel rompere la tradizione. Pur non avendo compiti politici in senso stretto — l’imperatore del Giappone inaugura le sessioni parlamentari e riceve il primo ministro prima dell’insediamento ufficiale — la sua figura, e quella ad esempio dell’erede al trono, hanno assunto negli anni una connotazione politico-diplomatica. Soprattutto in un periodo in cui la narrativa politica dominante tende a ridimensionare le responsabilità storiche del Giappone nella seconda guerra mondiale e a sottolineare la necessità di un paese più attivo sugli scenari internazionali. 

Di fatto, Akihito non si è limitato a farsi vedere all’interno del suo palazzo, nel pieno centro di Tokyo, dietro una sorta di teca da museo, in quelle poche occasioni in cui questo è aperto al pubblico. È stato, sempre accompagnato dalla consorte Michiko, in tutto il paese, visitando le aree colpite dai numerosi disastri naturali che hanno segnato il suo regno — «healer in chief», lo ha definito Jeff Kingston sul Nikkei Asian Review. Negli ultimi anni il sovrano ha limitato le sue uscite pubbliche, complice l’età avanzata e alcuni problemi di salute.

Tra il 2015 e l’inizio del 2016 è stato più volte all’estero, in particolare a Palau e nelle Filippine, per rendere omaggio ai caduti della seconda guerra mondiale. Ha mostrato ai suoi sudditi che era importante portare avanti la memoria della guerra, non cancellarla. È uscito così prepotentemente dall’ombra del padre Hirohito, il sovrano nel nome del quale centinaia i migliaia di giapponesi hanno perso la vita durante la guerra.

«Provo profondo rimorso per la guerra», ha detto l’imperatore alla stampa a dicembre dell’anno scorso in occasione del suo compleanno. «Il numero di giapponesi che non sa niente della guerra aumenta, di anno in anno. Ma io penso che per il futuro del Giappone, sia estremamente importante prendere piena coscienza della guerra e riflettere profondamente».

In questo senso, aggiunge Kingston, Akihito ha fatto molto più dei capi di governo per costruire reazioni amichevoli con i vicini asiatici, attirandosi in più occasioni critiche dalle frange nazionaliste dell’opinione pubblica.

Parole in forte contrasto con la filosofia dell’attuale primo ministro giapponese, sostenitore della necessità per il paese di uscire, attraverso soprattutto un’educazione più patriottica, dal cosiddetto «regime del dopoguerra». Anche nel suo discorso per il 70esimo anniversario, Abe ha ricordato che le generazioni future non possono essere «predestinate a chiedere scusa».

Dopo le ultime elezioni che gli hanno conferito una supermaggioranza, Abe ha annunciato di voler procedere al più presto alla riforma della costituzione pacifista del paese. In ultima analisi, qualcuno spera che la riforma della legge sulla famiglia imperiale impegni il parlamento. Almeno fino al 2018, quando Abe sarà alla fine del suo mandato.

[Scritto per Eastonline]