Nel silenzio dei media internazionali la Cina gestisce a suo modo la regione autonoma occidentale del Xinjiang. Area storicamente a maggioranza musulmana, viene identificata da Pechino come «la minaccia interna» più pericolosa, spesso associata a forma di «terrorismo». Da oggi in avanti un cittadino del Xinjiang, per poter chiedere documenti e visti per viaggiare, dovrà fornire anche campioni del proprio dna.Secondo il quotidiano locale Yili Daily, «coloro che vogliono fare domanda per qualsiasi tipo di documenti da questo mese devono recarsi presso una stazione di polizia vicino alle loro case affinché sia possibile avere i loro campioni di dna e le impronte digitali».
Si tratta di una procedura destinata a scatenare polemiche in una regione complicata, confinante con parecchi altri stati: fondamentale per le tratte commerciali cinesi e importante per gli equilibri nazionali. Pechino da tempo ha ingaggiato un corpo a corpo con gli estremisti della regione, spesso agendo in modo indiscriminato con azioni di polizia e politiche repressive.
La regione è praticamente militarizzata, in alcuni periodi è quasi impossibile entrarci, le città sono pattugliate, il controllo è altissimo specie dopo alcuni attentati accaduti negli anni scorsi.
A subire queste politiche è un’intera popolazione, quella degli uiguri, cittadini di religione musulmana, un tempo maggioritari nell’area e spesso discriminati in tutto il paese e non solo nel Xinjiang. Il governo di Pechino, oltre alla repressione ha tentato anche di portare maggiore sviluppo economico nella zona, provando quindi anche un approccio che è stato definito «soft».
La campagna di investimenti «Go West» ha portato finanziamenti, ma ha finito per portare nella regione centinaia di milioni di han, l’etnia maggioritaria in Cina, finendo per modificare per sempre la componente etnica regionale.
Analogamente la Cina ha sempre cercato sponde internazionali per ottenere il sostegno della comunità mondiale nel riconoscimento del «terrorismo di matrice uigura», che Pechino mette spesso sul piatto della bilancia delle relazioni internazionali.
I gruppi per i diritti degli uiguri denunciano da tempo discriminazioni anche religiose che impedirebbero ai musulmani cinesi di praticare la propria religione. E questi nuovi provvedimenti potrebbero essere letti come una ennesima forma discriminatoria.
Come ha scritto il South China Morning Post, «Il governo cinese ha pubblicato la scorsa settimana un rapporto sostenendo che la libertà di religione nella regione è stata impostata «senza precedenti», quindi in favore della comunità musulmana.
Nella realtà poi le cose vanno in modo diverso: «I membri del partito, i quadri, i funzionari, gli studenti e i minori non devono digiunare per il Ramadan e non devono prendere parte ad attività religiose»; si tratta di un avviso pubblicato giovedì scorso sul sito del governo della città di Korla, Xinjiang centrale.
Secondo l’Yili Daily «il numero delle domande di documenti di immigrazione è salito alle stelle lo scorso anno, da 20.000 nel 2014 a 100.000 nel 2015, dopo che le autorità avevano semplificato le procedure».
Secondo un rapporto statale, sarebbero più di 200.000 i documenti che dovrebbero essere rilasciati quest’anno, dna permettendo.
[Scritto per Eastonline]