Oggi si celebra il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata nel 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Parigi. La Cina è tra i paesi firmatari della Dichiarazione e pochi sanno che ha svolto un ruolo attivo nella sua redazione.
Tra i 9 membri del comitato incaricato della redazione, tra cui spiccava Eleonor Roosvelt e il filosofo Charles Malik, vi fu infatti anche Peng-Chun Chang. Filosofo e drammaturgo (a lui si deve la prima versione di Mulan), era un personaggio fuori dai canoni della diplomazia ordinaria. Chang studiò letteratura e filosofia alla Columbia University per poi tornare in patria ad insegnare. Grande conoscitore della filosofia orientale, ma anche cittadino del mondo, era l’ideale per servire come ponte tra culture. L’occasione si presentò quando gli venne chiesto di sostituire un diplomatico indisposto all’avvio dei lavori per la stesura della Dichiarazione. Essendosi distinto particolarmente, continuò a seguirne gli sviluppi per conto del governo cinese, divenendo il Vice Chair del comitato.
Maestro nell’arte del compromesso, il contributo di Chang fu fondamentale nell’indicare la formula finale che il documento avrebbe dovuto assumere: una dichiarazione non vincolante, ma con una portata così universale da farle guadagnare nel tempo un valore giuridico autonomo nell’ambito della comunità internazionale.
John P. Humphrey, primo direttore della divisione diritti umani delle Nazioni Unite, parlando di Chang ricorda ” Con una citazione di Confucio riusciva spesso a fornire la formula per superare l’empasse in cui eravamo finiti”. La sua storia è unica anche perché poté incredibilmente agire in totale autonomia nel corso della redazione della dichiarazione, giacché a quel tempo la Cina era spaccata dalla guerra civile tra nazionalisti e comunisti e lui fu abbandonato a se stesso.
Con fermezza Chang sostenne l’universalità degli insegnamenti di Confucio e Mencio e riuscì a includerne i principi nella Dichiarazione. Esempio concreto del suo contributo è il primo articolo della dichiarazione che recita «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.». Fu proprio dietro insistenza di Chang che venne aggiunto il termine “coscienza”, che si riferiva al concetto confuciano di compassione anche se molti critici ne vedono una versione riduttiva rispetto all’originale sostenuta da Chang.
Più dura fu la battaglia intentata da Chang sul concetto di “standard di civilizzazione classico”, che diede vita a una disputa tra relativismo culturale e universalismo. Le nazioni colonialiste sostenevano infatti, che le nazioni occupate o colonizzate, non raggiungessero uno standard di civilizzazione sufficiente per permettere loro di ambire alla salvaguardia dei diritti umani. Chang da parte sua difendeva una visione universale dei diritti umani, indipendentemente dal grado di civilizzazione raggiunto.
L’intervento di Chang è evidente nella seconda parte del secondo articolo della Dichiarazione, in cui sostenne con forza il principio che venissero riconosciuti eguali diritti anche a coloro i quali vivono in territori sottoposti al controllo di altre potenze: “Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità.
La figura di Chang, che morì nel 1957 negli Stati Uniti, è poco ricordata in Cina, eppure il suo ruolo fu fondamentale nel livellare quella pretesa occidentale che rischiava di permeare l’intera dichiarazione e renderla così veramente universale, espressione di tutti i popoli e le culture del mondo.
Nel corso degli anni la Cina ha più volte riconfermato il proprio sostegno alla Dichiarazione dei Diritti umani, violandone però di fatto il principio di universalità in numerosi casi e conducendo una gestione “domestica” che si giustifica dietro a un eccessivo ‘occidentalismo’ della Dichiarazione che non si adeguerebbe alle cosiddette ‘circostanze cinesi’. Un sunto delle posizioni che il lavoro di Peng-Chun Chang ha cercato di evitare.
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.