Intervista a Su Tzu-yun, analista dell’Institute for National Defense and Security Research di Taipei: «Al momento l’esercito cinese può dimostrare in modo molto visibile la sua forza, ma non ha la capacità di invadere Taiwan su larga scala. Agire su Kinmen o Matsu non credo rientri negli interessi del Partito comunista: quei luoghi servono per mantenere una connessione politica tra le due sponde dello Stretto»
Su Tzu-yun, analista dell’Institute for National Defense and Security Research di Taipei, spiega come il governo taiwanese percepisce le reazioni militari di Pechino alla visita di Nancy Pelosi.
In che modo vengono giudicate da Taipei le reazioni del governo di Pechino sul fronte militare?
A mio modo di vedere hanno commesso alcuni errori. A partire dal fatto di minacciare di abbattere o di scortare direttamente fino a Taipei l’aereo di Pelosi. In tal modo Pechino ha mostrato un volto impopolare non solo agli Usa ma anche all’Europa e tanti altri paesi.
Che cosa può succedere con le esercitazioni che iniziano oggi?
Con questi test Pechino vuole dimostrare di avere la capacità di operare un blocco navale su Taiwan. I due porti di Kaohsiung e Keelung potrebbero essere resi inoperativi, visto che l’area di esercitazione più estesa è dislocata proprio in concomitanza del nostro principale hub portuale. In sostanza dimostreranno di essere capaci di fare quello che ha fatto la Russia con Odessa e Mariupol, bloccando la comunicazione marittima taiwanese. Anche i voli civili avranno dei forti condizionamenti per almeno 72 ore: il ministero della Difesa ha annunciato delle nuove rotte.
Il governo taiwanese come pensa di gestire la situazione, tra il rischio di reagire provocando un’escalation o di non fare nulla concedendo spazio?
La Cina non è più quella del 1996, ma neanche Taiwan è più quella del 1996. Ora sappiamo meglio come rispondere alle pressioni militari di Pechino. Taipei ha dalla sua due vantaggi. Il primo: essendo un sistema democratico è più facilmente adattabile alle nuove situazioni rispetto a quello di Pechino. Secondo: bloccando commercio e linee aeree che passano per Taiwan si crea un impatto importante a livello internazionale, visto che da qui passano circa 1,7 milioni di voli ogni anno. Dunque il mondo si accorgerà ancora di più dell’importanza di Taiwan. Al di là delle mappe poi vedremo che cosa accadrà nella realtà: io spero ancora che si evitino sconfinamenti nelle acque territoriali interne taiwanesi per evitare rischi che possono diventare incontrollabili.
È plausibile che tra le reazioni ci sia anche un’invasione, se non su larga scala di un’isola minore?
Al momento l’esercito cinese non ha la capacità di invadere Taiwan su larga scala. Possono dimostrare in maniera molto visibile la loro forza, questo sì. Agire su isole minori come Kinmen o Matsu non credo rientri negli interessi del Partito comunista, perché quei luoghi servono per mantenere una connessione politica tra le due sponde dello Stretto. Se le invadesse taglierebbe completamente la connessione con Taiwan e non credo sia quello che vuole.
Che cosa sta facendo e che cosa può fare Taiwan per sostenere la sua difesa?
Dal 1996 a oggi Taiwan ha rafforzato le proprie forze militari e dopo questo episodio lo farà ancora di più, in particolare accrescendo le capacità di guerra asimmetrica e investendo su missili di precisione. Ma il budget difensivo deve essere aumentato.
La guerra in Ucraina potrebbe aver accelerato uno scontro militare?
Non credo. Il conflitto ha semmai dato a Pechino l’opportunità di ripensare ai piani di invasione, che sarebbe molto più complicata rispetto a quella russa visto che dovrebbe svolgersi non via terra ma via terra e mare. Io penso in realtà che quanto accade in Ucraina possa rendere più cauta la Cina, al di là delle reazioni anche molto visibili che ci saranno nei prossimi giorni.
Ritiene impossibile un ritorno al dialogo tra Taipei e Pechino?
No, il governo taiwanese credo sia sempre aperto al dialogo con Pechino che però per ora lo ha sempre evitato. Le dinamiche attuali vanno lette anche nell’ottica del XX Congresso, forse dopo aver ottenuto il terzo mandato e stabilizzato ulteriormente il suo potere Xi Jinping potrebbe anche rivedere in parte la sua posizione.
Il viaggio di Pelosi era necessario? Ha portato diversi rischi, pensa che ci siano anche dei benefici per Taiwan?
Il governo taiwanese non ha accolto Pelosi per avere dei benefici, l’ha accolta perché è normale accogliere amici di altri paesi che mostrano l’interesse a venire qui. Taiwan è aperta a qualsiasi tipo di supporto.
Nel 1997 la visita di Newt Gingrich servì per aumentare la deterrenza, quella di Pelosi non rischia di aumentare i rischi viste anche le tempistiche?
Non credo. È vero che siamo nell’imminenza del XX Congresso, ma non penso che in un altro momento non ci sarebbero stati dei rischi. Nel 1997 in realtà l’amministrazione Clinton voleva avere un rapporto molto amichevole e cooperativo con Pechino, con Trump e Biden c’è stata una presa di coscienza dei rischi di questo rapporto.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.