Dal primo giugno scatteranno i contro dazi cinesi su circa 60 miliardi di prodotti americani (dall’agricoltura all’elettronica). In risposta alle tariffe decise da Trump, mentre erano in corso i negoziati per arrivare a un compromesso, Pechino ha deciso di porre delle sanzioni dal 5 al 25%, su un totale di circa 2.500 merci americane. Dopo il fallimento dei negoziati, dunque, arriva la prima risposta della Cina alla decisione americana, condita per altro dalla minaccia di allargare i dazi al restante dei prodotti cinesi importati dagli Usa (per un totale di circa 300 miliardi di dollari).
Donald Trump, come al solito, l’ha presa bene.
Pechino, dal canto suo, ha specificato di aver colpito gli Usa in quanto contrario al “protezionismo” americano, ma è chiaro che si tratta di una prima mossa, propedeutica ad altre nel carnet di quelle possibili, in attesa di capire se la ripresa del dialogo potrà, o meno, consentire una tregua.
Il problema è che questo scontro tra le due potenze mondiali ha già trascinato nel baratro prima le borse asiatiche e poi il mercato dei futures americani: l’idea è quella di un conflitto commerciale dal quale ormai è molto difficile tornare indietro, specie se ciascun paese avrà la percezione di poter reggere l’urto e allo stesso tempo di colpire l’avversario.
Come ha scritto il New York Times, le aziende americane “temono che la Cina possa ricorrere ad altri metodi per vendicarsi, oltre alle tariffe. Hu Xijin, il redattore capo del Global Times, un magazine di proprietà del Partito Comunista Cinese, ha twittato lunedì sera che la Cina potrebbe fermare l’acquisto di prodotti agricoli ed energetici americani e aerei Boeing e limitare le offerte di servizi americani in Cina”.
Secondo Hu, inoltre, “studiosi cinesi non identificati” avrebbero lasciato intendere anche la possibilità che Pechino faccia valere la propria quota di debito americano nelle proprie mani.
Ma Hu Xijin è un ultras nazionalista cinese e le sue parole vanno sempre prese con molta attenzione: Pechino, infatti, sa bene che l’arma del debito americano è a doppio taglio: i due giganti, infatti, sono più incatenati che mai.
E mai come oggi torna il mantra espresso più volte dalla dirigenza cinese, secondo il quale in uno scontro commerciale non c’è nessun vincitore.
“Per 2.493 articoli sulla lista di Pechino, come segnalato dal Financial Times, le tariffe sarebbero aumentate del 25%. Tra questi prodotti ci sono articoli agricoli, come gli spinaci surgelati e il miele naturale, e composti come il solfato di potassio, comunemente usato nei fertilizzanti, e vari prodotti fabbricati come le lampadine a LED”.
Su altri due elenchi di 1.078 e 974 voci, le tariffe sarebbero aumentate rispettivamente del 20% e del 10%. “Tali elenchi comprenderebbero molti articoli per la casa come il dentifricio e la candeggina insieme ad abbigliamento e attrezzature di produzione correlate, come macchinari per fabbricare scarpe”.
Cosa era successo la scorsa settimana
Come riportato dalle agenzie, la settimana scorsa il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, aveva disposto l’aumento delle tariffe su tutti i restanti beni di importazione dalla Cina, valutati intorno ai 300 miliardi di dollari, a partire dalla mezzanotte di venerdì. “Il presidente ci ha anche ordinato di iniziare il processo di aumento delle tariffe su praticamente tutte le restanti importazioni dalla Cina, che sono valutate circa 300 miliardi di dollari”, ha detto il Rappresentante del commercio Usa, Robert Lighthizer. Il capo della Casa Bianca ha anche suggerito che gli Stati Uniti riprenderanno ad aiutare gli agricoltori per le perdite subite dall’inizio di questa disputa commerciale, ribadendo che gli Stati Uniti sono pronti per una lotta prolungata.
Il presidente Trump aveva aggiunto che le nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti del 25 per cento su 200 miliardi di dollari di beni cinesi di importazione rimarranno in vigore in attesa di futuri negoziati. Il capo della Casa Bianca aveva definito i colloqui “candidi e costruttivi” e ha affermato che il suo rapporto con il presidente cinese Xi Jinping “rimane molto forte e che le conversazioni sul futuro continueranno”.
Come al solito, era già capitato con Kim Jong-un, anche Xi Jinping gli avrebbe spedito una “lettera bellissima”.
La posizione della Cina
Di fronte alle nuove sanzioni americane, Liu He, il negoziatore cinese, prima è stato ben poco tempo in riunione con la controparte (solo mezz’ora), poi è tornato a Pechino, sostenendo che nuovi dialoghi sarebbero ripresi proprio nella capitale cinese.
La Cina è parsa voler rassicurare tutti, considerando anche le voci che si erano rincorse nei giorni precedenti, secondo le quali sarebbe stato proprio il presidente cinese Xi Jinping a bloccare la trattativa per non dare l’idea alla popolazione cinese di eccessiva debolezza con Washington.
Rimane il fatto che, in attesa di nuovi dialoghi, la risposta cinese è stata rapida e precisa, come già lo fu in occasione dei primi dazi annunciati da Trump lo scorso anno. Pechino ha nuovamente colpito il cuore elettorale di Trump, non dando affatto l’idea, dunque, di voler aumentare acquisti di prodotti americani come “promesso” in fase negoziale.
Il ministero delle finanze cinesi, ente che ha emesso la nota sull’aumento dei dazi della Cina, ha specificato che la mossa è stata “una risposta all’unilateralismo e al protezionismo commerciale”. “La Cina – proseguiva la nota – spera che gli Stati Uniti tornino sulla giusta strada dei negoziati commerciali bilaterali, collaborino con la Cina e incontrino la Cina a metà strada per raggiungere un accordo reciprocamente vantaggioso e vantaggioso sulla base del rispetto reciproco e dell’uguaglianza”.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.