L’annuncio della polizia di Hong Kong è arrivato pochi giorni dopo la pubblicazione di un controverso editoriale del quotidiano Ta Kung Pao, in cui si menziona la normativa che ha applicazione extraterritoriale. Ma la Cina, che fa parte dell’Interpol, difficilmente riceverà la collaborazione dei paesi membri
A distanza di tre anni dalla sua entrata in vigore, la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong imprime un’ulteriore stretta su attivisti pro-democrazia e opposizione locale. L’ultima è arrivata la prima settimana di luglio, quando le autorità hanno posto le manette ai polsi di cinque ex esponenti del partito pro-democratico Demosisto, sciolto nel 2020 dopo la promulgazione da parte della Cina della controversa norma. Tra gli arrestati, di età compresa tra i 26 e i 28 anni, ci sono l’ex leader del movimento, Ivan Lam Long-yin, e altre ex figure di spicco del partito, William Liu, Li Kai-ching, Arnold Chung e Calvin Chu. Tutti sono sospettati di cospirazione per la collusione con forze straniere e di sedizione, alcuni dei reati puniti dalla legge sulla sicurezza nazionale che prevede pene fino all’ergastolo.
Gli ex politici sono finiti nel mirino della polizia per il loro presunto ruolo di raccolta fondi da società straniere per fornire aiuti finanziari ai dissidenti all’estero che, secondo le autorità, sono impegnati in attività che mettevano in pericolo la sicurezza nazionale. Nonostante il riserbo della polizia, i media locali hanno riferito che gli arrestati agivano per conto di una piattaforma online nota come “Mee, collegata al defunto partito Demosisto. Il giro di vite sugli attivisti dell’ex partito è arrivato pochi giorni dopo la decisione della polizia per la Sicurezza Nazionale della città di porre una taglia da un milione di dollari di Hong Kong (circa 117mila euro) su ciascuno degli otto ricercati dal governo locale che vivono in esilio in Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia e Canada. L’ingente somma di denaro va a chiunque fornisca informazioni utili per il loro arresto.
Destinatari dei mandati di cattura sono gli ex deputati Ted Hui e Dennis Kwok, gli attivisti Nathan Law, Anna Kwok, Elmer Yuen, Mung Siu-tat e Finn Law, e l’avvocato Kevin Yam. A carico di tutti e otto ci sono addebiti legati alla collusione con forze straniere, mentre alcuni sono stati anche accusati di sovversione, istigazione alla sovversione e secessione. Nonostante la polizia dell’ex colonia non possa arrestare gli otto ricercati se sono all’estero, le autorità locali non si danno per vinti. L’amministratore di Hong Kong, John Lee, ha intimato ai ricercati di porre fine al loro destino di fuggitivi per evitare di “vivere nel terrore”. L’annuncio della polizia di Hong Kong, non a caso, è arrivato pochi giorni dopo la pubblicazione di un controverso editoriale del quotidiano Ta Kung Pao che citava proprio l’articolo 38 della legge sulla sicurezza nazionale, in cui si menziona che la normativa si applica anche alle persone fuori dell’ex colonia britannica. Ma la Cina, che fa parte dell’Interpol, difficilmente riceverà la collaborazione dei paesi membri: dopo il varo della norma sulla sicurezza nazionale, diversi nazioni, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Canada (le stesse in cui hanno trovato riparo politico i dissidenti dell’ex colonia), hanno sospeso l’assistenza giudiziaria reciproca in materia penale con Hong Kong. Una rottura che segnala la diffidenza dei paesi occidentali verso il sistema giudiziario hongkonghese, ormai sempre più simile a quello cinese.
La legge, formulata in modo vago, ha trasformato rapidamente la vita politica e sociale nell’ex colonia britannica. Una trasformazione che tocca anche il sistema elettorale di Hong Kong. Il Legislative Council, il mini parlamento dell’ex colonia, ha approvato all’unanimità una riforma del sistema elettorale che riduce drasticamente il numero dei seggi assegnati tramite nomina diretta ai rappresentanti distrettuali: dagli attuali 452 seggi i cittadini potranno eleggerne solo 88, mentre viene tagliato anche il numero complessivo delle sezioni, che passano da 479 a 470. Una decisione che si spiega con il travolgente risultato positivo registrato dal fronte pro-democrazia nell’ultima tornata elettorale del 2019. La nomina però non è affatto scontata. Chiunque voglia candidarsi a qualsiasi carica elettiva a Hong Kong deve sottoporsi a un controllo di sicurezza nazionale e assicurarsi almeno tre nomine da diversi comitati con lo scopo di essere considerato un vero “patriottico”. Cinese, si intende.
Articolo di Serena Console
[pubblicato su il manifesto]
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.