Mentre il mondo dei tassisti fa i conti con la tecnologia, al livello più basso dell’economia dei trasporti si consuma una guerra tra poveri rivelatrice dei grandi contrasti presenti nella sociatà cinese. Il guidatore del sanlunche (il triciclo a pedali o a motore onnipresente a Pechino) schiva per un pelo il colpo che s’abbatte sull’abitacolo del suo trabiccolo con un gran rumore di vetri, poi fa una rapida inversione a U che quasi sbalza fuori il passeggero. Il giovane autista grida “mei shir, mei shir”, “non c’è problema”, per tranquillizzare se stesso più che l’esterrefatto cliente straniero. Poi svicola in una via laterale della Pechino notturna e si allontana dai quattro brutti ceffi che hanno cercato di fargli la pelle o per lo meno di scassargli lo strumento di lavoro.
Dopo qualche centinaio di metri offre una sigaretta al passeggero e si ferma per fumare, raccontare, ritrovare un po’ di calma: “Sono i tassisti, vogliono impedirci di lavorare, il governo corrotto li protegge. Anzi no, il governo cinese non è corrotto, i funzionari locali lo sono”.
Così, nella capitale del paese che più investe in trasporti e infrastrutture si consuma una guerra tra poveri e poverissimi all’insaputa dei più, con tanto di derive mafiose.
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