Da Shenzhen ad Addis Abeba, Etiopia, verso il resto dell’Africa. E’ il percorso che compiranno i vaccini cinesi grazie alla costruzione di una rete logistica che prevede un ponte aereo della catena del freddo con il sussidio di Cainiao, il braccio logistico di Alibaba. Mentre i paesi sviluppati si sono già assicurati la fetta più consistente delle forniture farmaceutiche globali, dopo aver dispensato tamponi, mascherine e respiratori, Pechino continuerà a sostenere il continente nella guerra contro il coronavirus. “I paesi africani saranno tra i primi a beneficiare” del vaccino cinese, aveva assicurato il presidente Xi Jinping lo scorso giugno durante un vertice straordinario convocato online per coordinare la riposta contro l’epidemia nel continente. Non solo la promessa è stata mantenuta. A dicembre nella capitale etiope sono cominciati i lavori per il nuovo Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie; progetto finanziato, costruito ed equipaggiato interamente dal governo cinese, che si va ad aggiungere alla lunga lista di stadi ed edifici governativi realizzati dal gigante asiatico nel continente.
Nel bene e nel male, la pandemia sta aiutando Pechino a cementare la propria posizione nella regione. Complice il disimpegno americano e l’assenza di un’alternativa europea. Il tempismo non potrebbe essere più azzeccato. Mentre l’Africa conserva ancora un notevole potenziale economico e politico (dispensando voti filocinesi in sede Onu), il vecchio “business model” del gigante asiatico nel continente comincia a scricchiolare: con l’oscillazione dei prezzi delle commodities, l’equazione prestiti facili in cambio di materie prime non solo espone le banche statali cinesi a gravi rischi. Non è neanche più così conveniente ora che l’ex fabbrica del mondo si sta riconvertendo dal manifatturiero ai servizi per rispondere al calo della manodopera e all’aumento del costo del lavoro.
Secondo la China Africa Research Initiative della Johns Hopkins University, nelle ultime due decadi la Cina ha investito nel continente almeno 148 miliardi di dollari, rappresentando la prima fonte di finanziamenti infrastrutturali con una spesa che ha superato quella di Asian Development Bank, Commissione europea, Banca europea per gli investimenti, International Finance Corporation, Banca mondiale e G7 messi insieme. Ma dal 2013 il portafoglio cinese ha cominciato ad assottigliarsi, tanto che il budget stanziato a margine del forum per la Cooperazione sino-africana negli ultimi cinque anni è rimasto tale e quale […]
Gli ultimi assegni strappati suggeriscono una graduale transizione verso nuove formule d’investimento meno spericolate attraverso partecipazioni azionarie e partnership a capitale misto pubblico-privato così da distribuire meglio i rischi tra contribuenti, aziende e banche statali. Per Eric Olander, fondatore di China Africa Project, gli ultimi sviluppi dimostrano come la strategia cinese nel continente sia sempre più influenzata dall’agenda politica di Pechino. [SEGUE SU LEFT]
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.