Mesi di indiscrezioni, trattative segrete e infine il rilascio sincronizzato. Come in uno scambio di ostaggi, tra venerdì e sabato la Cfo di Huawei, Meng Wanzhou, e i due cittadini canadesi Michael Spavor e Michael Kovrig sono tornati nei rispettivi Paesi dopo tre anni di detenzione. A rompere l’impasse è stato un accordo dai contenuti opachi, raggiunto dopo un lunghissimo iter processuale tra Canada e Stati uniti, che ha permesso il rilascio della donna ai domiciliari nella sua villa di Vancouver dal dicembre 2018.
La Cina ha accolto la notizia come una vittoria. Comparsa da remoto davanti ai giudici del tribunale federale di Brooklyn, Meng si è dichiarata a voce “non colpevole”, ma ha riconosciuto il suo coinvolgimento nella frode bancaria che nel 2013 – secondo Washington – ha permesso a Huawei di aggirare le sanzioni americane contro l’Iran. Se i termini dell’intesa saranno rispettati le accuse contro la donna verranno archiviate entro dicembre 2022. Questo vuol dire che Meng sfuggirà alle responsabilità penali, non sarà estradata negli Stati uniti e non pagherà alcuna sanzione.
Normalmente silenziosa, la dirigente di Huawei si è lasciata andare a uno sfogo: “negli ultimi tre anni la mia vita è stata capovolta. È stato un periodo sconvolgente per me come madre, come moglie”. “Senza una patria forte, oggi non sarei libera”, ha aggiunto su WeChat. Ad attenderla all’aeroporto Baoan di Shenzhen ha trovato una folla acclamante. “Bentornata a casa” recita uno dei tanti striscioni esposti dai fan. Otre 60 milioni di persone hanno guardato in diretta “Lady Huawei” scendere la scaletta dell’aereo in abito rosso.
Pechino ha sempre ritenuto l’arresto di Meng funzionale alla guerra sferrata da Donald Trump contro la Cina e le sue aziende tecnologiche. Soprattutto dopo l’offerta dell’ex presidente americano di intercedere con la Giustizia a favore della donna in cambio di un accordo commerciale più vantaggioso. Celebrando il rilascio, il ministero degli Esteri cinese ha definito il caso una “persecuzione politica”.
Sui social cinesi i commenti sopravvissuti alla censura celebrano l’arrivo in Cina della donna con toni nazionalisti. L’hashtag “Meng Wanzhou sta tornando in patria” ha totalizzato oltre un miliardo di visualizzazioni nella giornata di sabato, mentre per la stampa statale il lieto fine è il risultato “degli sforzi incessanti del governo cinese”.
Al contrario la notizia della liberazione di Kovrig e Spavor, detenuti formalmente con l’accusa di spionaggio pochi giorni dopo l’arresto di Meng, è passata inosservata tanto sui media ufficiali quanto sul web cinese. Il nesso tra gli arresti, negato categoricamente da Pechino, è uno degli elementi più controversi della vicenda.
In questi lunghi tre anni, mentre la dirigente di Huawei è rimasta in libertà vigilata nella sua lussuosa villa di Vancouver, i due Michael sono stati tenuti in isolamento e senza assistenza diplomatica per mesi. Un altro cittadino canadese, Robert Schellenberg, è stato frettolosamente condannato a morte per traffico di droga. Giornalisti, studenti, imprenditori e ricercatori di entrambi i Paesi hanno pagato in misura variabile il prezzo delle rivalità tra le due superpotenze.
Se quindi la consegna dei rispettivi “ostaggi” chiude uno dei casi diplomatici più clamorosi degli ultimi anni, molte sono le domande ancora aperte. L’arresto di Meng segna un precedente per tutti quei Paesi legati agli States da accordi di estradizione? Il coinvolgimento del Canada nell’affaire Huawei ha deteriorato notevolmente i rapporti con Pechino. E poi, confermata la dubbia natura dell’arresto dei due Michael, aziende e organizzazioni straniere continueranno ad operare in Cina senza remore? Ma, soprattutto, l’accordo segna un punto di svolta per le relazioni sino-americane? Così sembrerebbe dai commenti rilanciati dai media cinesi. Il ritiro della domanda di estradizione dal Canada a carico di Meng era una delle richieste presentate durante la recente visita a Tianjin del sottosegretario di Stato, Wendy Sherman, per riavviare il dialogo bilaterale.
Sinora l’arrivo di Biden alla Casa Bianca ha disatteso le aspettative cinesi di un ritorno all’approccio più conciliante dell’era Obama. La nuova amministrazione non sembra intenzionata a fare sconti. Considerata un pericolo per la sicurezza nazionale, Huawei è ancora sottoposta a severe restrizioni commerciali e il dipartimento di Giustizia ha dichiarato che il processo per furto di segreti commerciali contro l’azienda continuerà.
Se le indiscrezioni degli ultimi mesi dovessero concretizzarsi, Biden e il presidente Xi Jinping potrebbero incontrarsi per la prima volta a margine del prossimo G20. Certamente, avranno parecchio di cui parlare.
Di Alessandra Colarizi
[Pubblicato su il manifesto]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.