L’Università di Torino ha ospitato i lavori dell’Associazione Italiana di Studi Cinesi dal 18 al 20 novembre. China Files ha potuto seguire questi incontri: qui un breve riassunto per far scoprire ai lettori di cosa si occupa l’Aisc e qual è il dibattito tra gli esperti del mondo sinofono
Finalmente si torna in presenza. L’ho sentito dire svariate volte durante i due giorni e mezzo che hanno caratterizzato i lavori del XVIII convegno Aisc, l’Associazione Italiana di Studi Cinesi. Insieme al sollievo c’è stata anche preoccupazione, speranza, volontà di accogliere e discutere le sfide future. Ed emerge, chiaro più che mai, una questione importante: non è facile il mondo in cui si trova a vivere la sinologia italiana oggi.
Il convegno si è tenuto dal 18 al 20 novembre presso l’Università di Torino, coinvolgendo una vasta gamma di aree tematiche legate agli studi sulla Cina. Era presente il 50% degli associati, 120 persone legate al mondo della didattica e della ricerca nei più svariati campi legati al mondo cinese. Ma l’edizione del 2021 è stata anche qualcosa di più: non solo ritorno alla luce delle tante sfide poste dalla pandemia, ma anche apertura e ricerca di nuovi orizzonti. Non per niente, e per la prima volta, il convegno ha aperto con un ospite esterno: Jada Bai, Ibc (Italian born Chinese) da tempo attiva nel dibattito sul ruolo dei sinodiscendenti in Italia. “Sveglia, Italia. I tempi sono maturi”, ha detto dietro la cattedra da dove solitamente parla l’accademia. Bai ha raccontato la sua esperienza di vita (non senza conflitti) tra le due comunità italiana e cinese, ma ha anche invitato il mondo dell’educazione a non “lasciar andare” i giovani sinoitaliani, che tanto possono fare per arricchire istituzioni e società civile.
I contenuti del convegno
Per il XVIII convegno sono stati proposti dei panel tematici, occasioni in cui alcuni soci hanno presentato la propria ricerca e aperto discussioni tra i partecipanti. L’elenco degli interventi è ancora consultabile a questo link, e lo consigliamo sia ai lettori che dovranno avviare un progetto di tesi, che agli appassionati interessati ad approfondire temi specifici. Tra i contenuti di questa edizione biennale vi erano il centenario del Partito comunista cinese, la storia degli studi cinesi, letteratura antica e contemporanea, nuovi media, la formazione dei giovani nel passato e nel presente, didattica e glotto-linguistica. La contingenza storica 1921-2021 ha permesso di analizzare da vicino passato, presente e futuro della Repubblica Popolare, non senza andare a riflettere su quelle “radici storiche dei problemi della Cina” che sono, in parte, gli stessi nodi critici della contemporaneità che vive l’Occidente: diritti, lavoro, big data, crisi climatica, economia e autoritarismo.
Una delle novità è stata l’inaugurazione di un ciclo di incontri ad hoc dedicato alla comunità sinoitaliana, orientato tanto sulla ricerca storiografica quanto alla partecipazione di Ibc nella produzione culturale italiana e nei movimenti sociali. Anche la pandemia ha avuto la sua parte, sia dal punto di vista della narrazione sui media dei due paesi, che come oggetto di nuove riflessioni sullo stato dei rapporti tra le due comunità.
Un altro aspetto interessante, emerso dalle ricerche dell’associazione, riguarda le “culture cinesi tra globalizzazione e localizzazione”. Il mondo sinofono sta cambiando sotto la forte spinta della leadership di Zhongnanhai: oggi, a fronte di una Cina come grande potenza, anche il pubblico esterno è sempre più esposto alle “caratteristiche cinesi”, mentre diventa sempre più interessante analizzare come Pechino racconta sé stessa alla propria opinione pubblica.
Le sfide della sinologia italiana
Uno dei momenti chiave del convegno è stata la tavola rotonda tra i membri dell’associazione, che la redazione di China Files ha avuto l’opportunità di seguire. Un evento non scontato e una novità, insieme agli interventi programmati da alcuni dei soci. Il tema centrale da discutere in quest’occasione è stato, come accennato all’inizio, la delicata fase di transizione che la sinologia italiana affronta in un’Italia sempre più interessata alla Cina, ma che la conosce (o vuole conoscerla) poco. Ma non solo. La pandemia ha esacerbato la tendenza di Pechino a chiudersi al mondo esterno, rendendo ancora più complessa e controversa la ricerca su temi considerati “sensibili” dalla leadership (che coinvolge, di conseguenza, anche i professionisti della Repubblica Popolare).
La partecipazione è stata molto attiva, e ha allargato il campo di discussione a temi importanti per definire il ruolo degli esperti del mondo sinofono di domani. Davanti alle distorsioni in alcuni contesti di media e politica italiani ci si è interrogati sul ruolo dell’accademia nella società civile. Di fronte alla crisi del mondo del lavoro, ci si è chiesti quali strumenti servono agli studenti e ai professionisti di domani, e cosa possono fare le Università per tutelare il futuro delle menti che vengono formate in queste discipline. A fronte di relazioni internazionali (diplomatiche, commerciali) sempre più polarizzate o asimmetriche, si è aperta una riflessione sul potenziale della ricerca italiana: un ambiente dove possono nascere iniziative di qualità, e che gode ancora oggi di spazi di indipendenza negati altrove.
China Files ha raccolto qualche commento e riflessione a margine dei lavori del Convegno Aisc, con la partecipazione di alcuni dei volti che hanno fatto la storia degli studi sinologici.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.