Domenica 4 novembre, in una Pechino blindata e stretta nella morsa del primo freddo invernale, si è tenuto il Settimo plenum del XVII Comitato centrale. Tra i mimenti più attesi il nuovo Statuto di Partito e l’espulsione di Bo Xilai e Liu Zhijun. Qualcosa sta cambiando?
Gli ultimi verdetti disciplinari della quattro giorni di riunione plenaria dei vertici del Partito comunista cinese, in vista del XVIII congresso nazionale, hanno forse un significato particolare. Qualcosa sta cambiando nell’approccio ai crimini commessi da membri del Partito. Per Bo Xilai e Liu Zhijun, espulsi dall’Assemblea nazionale del Popolo cinese e privati dell’immunità politica, ora si apre la strada della giustizia ordinaria.
Il consesso nel dettare i tempi del prossimo XVIII Congresso che si aprirà il prossimo 8 novembre, ha approvato i rapporti finali di un quinquennio di attività politica che verranno quindi sottoposti ai circa 2500 delegati del Partito comunista in arrivo a Pechino da tutte le regioni dell’ex Impero di mezzo. Tra i documenti più attesi – ma di cui ancora non si hanno dettagli – la bozza finale della riforma dello Statuto di Partito.
A fare più rumore però sono state le ratifiche di due espulsioni dall’Assemblea nazionale del popolo (il "parlamento" cinese) di cui danno conto oggi i principali media cinesi. La prima è quella di Bo Xilai, l’ex uomo forte del Partito comunista della metropoli di Chongqing e candidato decaduto a un posto nel prossimo Comitato permanente del Politburo. La seconda è quella dell’ex Ministro per le ferrovie, Liu Zhijun.
Voci sulla definitiva espulsione di Bo Xilai dall’alto organo legislativo della Repubblica popolare erano già trapelate nel corso della scorsa settimana: oggi il quotidiano di Pechino in lingua inglese Global Times e l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, ne rendono note le motivazioni.
Le accuse più forti a Bo Xilai riguardano, in particolare, il suo mandato come segretario del Partito di Chongqing. Qui si sarebbe macchiato di "abuso di potere" promuovendo politici e militari a lui vicini commettendo "gravi violazioni dei principi disciplinari del Partito".
Avrebbe commesso "gravi errori nella gestione del caso del vice-sindaco di Chongqing Wang Lijun, entrato senza permesso nel Consolato americano di Chengdu," e si sarebbe inoltre reso complice dell‘omicidio Heywood. La moglie di Bo, Gu Kailai, ritenuta la vera responsabile del crimine, è stata già condannata alla pena di morte (poi commutata in ergastolo) il 20 agosto scorso.
A peggiorare la posizione di Bo l’accusa di avere intrattenuto relazioni "non appropriate" con un imprecisato numero di donne. "Il suo comportamento", si leggeva nel comunicato con cui il Pcc decideva la sua espulsione il 28 settembre scorso, "ha messo gravemente a rischio la reputazione del Partito e di tutto il Paese…danneggiando la causa del Partito e del Popolo." Una bocciatura su tutta la linea che pone fine, nero su bianco, alla carriera politica del "principino rosso".
Simile al caso di Bo, seppure di minor rilievo, è quello di Liu Zhijun. L’ex Ministro delle Ferrovie era stato rimosso dal suo incarico nel febbraio 2011 per "importanti violazioni disciplinari". L’espulsione era stata formalmente decisa dal Politburo nel maggio scorso, ma è stata ratificata solamente ieri. L’ex ministro, sul cui caso ritorna oggi il China Daily, era stato coinvolto in un giro di tangenti, che, secondo il rapporto della Commissione per le indagini disciplinari hanno favorito imprenditori privati e causato "enormi perdite economiche", nonché "influenza negativa a livello sociale".
Il caso Liu aveva rivelato la corruzione endemica del sistema politico-burocratico che gestisce la terza rete ferroviaria più grande del mondo messa di fronte, a pochi mesi dalla rimozione dell’ex ministro, nel luglio 2011, a tutta la sua debolezza. Due treni si scontrano nei pressi di Wenzhou e provocando la morte di 40 passeggeri. Liu viene additato retroattivamente come principale responsabile della catastrofe, causata da una generale cattiva gestione del sistema ferroviario.
I casi di Bo e Liu segnerebbero, sostiene Cheng Li dalle colonne di East Asia Forum, che la fiducia nelle riforme politiche e nella legge e nello "stato di diritto". Una teoria che pare essere smentita dall’attuale premier Wen Jiabao. In seguito all’articolo del New York Times dello scorso 26 ottobre che rivelava l’esistenza di tesoro di famiglia pari a 2,6 miliardi di dollari, accumulati principalmente nel decennio del suo mandato, Wen, scrive oggi il South China Morning Post, avrebbe richiesto al Comitato permanente del Politburo – di cui lui stesso è membro – di aprire un’indagine formale a suo carico. Un vero cambiamento può attendere; in Cina, almeno per il momento, è ancora il Partito a dettare legge.
*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.