La nona edizione della Biennale di Shanghai (aperta fino al 31 marzo 2013) è curata da Qiu Zhijie, Boris Groys, Jens Hoffmann e Johnson Chang Tsong – Zung. China Files è andata a visitarla prima ancora che aprisse e vi accompagna negli incredibili spazi della Power Station of Art.
Shanghai, distretto di Huangpu, via Hua Yuan Guang: nell’aria c’è l’odore della vernice data di fresco, la strada è invasa da impalcature e operai in divisa blu: l’intera macchina operativa è a lavoro. Si ultimano i preparativi della nona edizione della Biennale di Shanghai, quest’anno ospitata per la prima volta presso gli spazi della Power Station of Art. La struttura, sito di una ex centrale elettrica chiusa nel 1987, si candida a diventare uno dei principali spazi pubblici dedicati all’arte contemporanea in Cina, proponendosi come centro di presentazione e diffusione dell’arte per un pubblico in costante crescita.
Reactivation è il tema scelto dai curatori per questa edizione, un modo per riflettere su possibili modelli di sviluppo e sostentamento, riattivando spazi ed energie. L’idea è, dunque, strettamente connessa alla nuova destinazione d’uso pensata per la struttura. Tuttavia, non si tratta semplicemente del concetto di riciclo di spazi altrimenti inutilizzati, si tratta di una riflessione sugli attuali modelli di vita, che vuole indurre a considerare l’energia culturale e artistica come una grande risorsa per la comunità. Tra le casse delle opere non ancora aperte, tra gli artisti e gli addetti ai lavori, giriamo fra singoli e gruppi partecipanti alla Biennale, ben novantotto, sbirciando tra corridoi, padiglioni e sale.
Reactivation si divide in quattro grandi sezioni: Resources, dedicata all’arte come forma educativa e forza propulsiva, ai cambiamenti sociali e ideologici; Revisit, dedicata all’arte come ponte tra recupero della memoria storica e innovazione, con il riutilizzo di luoghi abbandonati o di oggetti appartenenti al passato; Reform, dedicata all’arte come studio e riconversione di varie forme energetiche in opera artistica; Republic, dedicata all’arte come scambio e interazione tra artisti e comunità in cui vivono.
Nella sezione Reform troviamo Loris Cecchini, artista italiano, da anni impegnato nello studio delle forme e degli spazi e in una loro differente rielaborazione visiva. Gaps, l’opera studiata appositamente per la Biennale, è in fase di ultimazione. L’artista ci spiega: Mi piace definire la mia opera come “diagrammi fenomenici”. Attraverso dei dati fenomenici per l’appunto, ricostruiti con un software, ho studiato il comportamento delle onde, riportandole su un piano 3D e poi usando degli stampi per la forma finale. Ora stiamo fissando le opere alle pareti: i bordi estremi delle sculture vengono saldati alla superficie delle pareti in modo da uniformare completamente la superficie e renderla un continuum visivo. L’installazione, in resina poliestere, ha un forte impatto visivo: i quattro cerchi, idealmente collegati tra loro da un ritmo monocromo, diventano delle vere e proprie architetture.
Quest’anno per la prima volta, i curatori, insieme alla mostra principale, hanno scelto di rappresentare i diversi Paesi partecipanti, non più con padiglioni nazionali, ma attraverso singole città che, con le loro storie e la loro contemporaneità, raccontino l’identità di un popolo. City Pavilion, organizzata da Davide Quadrio, Francesca Girelli e Huang Mi, propone opere provenienti da varie città internazionali, che si fanno portatrici di quel valore di unicità che ogni individuo rappresenta. Mettendo da parte l’idea di Paese come forza politica ed economica, City Pavilion porta a riflettere sull’importanza che ogni singola realtà ha nel patrimonio culturale e identificativo della propria nazione. Al padiglione italiano, al quinto piano della Power Station of Art, si lavora senza sosta, curatori e artisti all’opera nell’ultimare l’installazione delle opere e attenti a ogni singolo dettaglio: c’è un’atmosfera allegra e collaborativa.
A rappresentare l’Italia è la città di Palermo che, per mezzo delle opere di Massimo Bartolini, Pina Bausch, Vanessa Beecroft, Manfredi Beninati, Emma Dante, Formafantasma, Stefania Galegati Shines, Guo Hongwei, Lee Kit, Laboratorio Saccardi e Francesco Simeti, si presenta come percorso esperienziale, come viaggio alla scoperta dell’identità di questa città, delle sue atmosfere e delle incredibili contraddizioni che la caratterizzano. City Pavilion sarà presente in vari spazi della città e, parte delle opere, verranno esposte al quinto piano della Power Station of Art.
PALERMO FELICISSIMA è il nome scelto dai curatori Laura Barreca e Davide Quadrio per il City Pavilion italiano, titolo liberamente tratto dall’omonimo testo scritto dall’erudito palermitano Nino Basile nel 1932 e dedicato ai beni artistici e monumentali della città. La mostra vuole essere un percorso esperienzale attraverso l’arte in tutte le sue varie forme, video, teatro, performance, scultura, installazioni, mostrando la ricchezza e allo stesso tempo la complessità di questa meravigliosa realtà.
Il padiglione ci accoglie con due schermi che proiettano le immagini di mPalemmu di Emma Dante e di Palermo Palermo di Pina Bausch. Il teatro contemporaneo diviene linguaggio artistico in grado di mostrare storie e atmosfere di una Palermo ricca di molteplici significati e diversità. Tra barattoli di vernice e attrezzi vari, giriamo con curiosità tra le varie opere, in attesa di essere ultimate. In una stanza si lavora all’installazione The sun goes dim while the house lights up di Manfredi Beninati. L’opera è ispirata agli ambienti di un vecchio palazzo nobiliare di Palermo: stucchi siciliani originali, spediti a Shanghai, per preservare l’autenticità dell’installazione e la bellezza dei dettagli.
In un’altra sezione del padiglione troviamo l’installazione luminosa Starless di Massimo Bartolini, una scultura fatta di luminarie tipiche delle strade siciliane in festa, che si accendono e si spengono secondo la sequenza del famoso pezzo rock della band King Crimson. Da un’altra parte, un gruppo di cinesi, addetti ai lavori, si prende una pausa dinanzi alle immagini del video della performance di Vanessa Beecroft VB 62. Ventisette donne dipinte di bianco si confondono tra statue in gesso, rimandando alla scultura siciliana barocca e in particolare a quella di Giacomo Serpotta, con lo sfondo della Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, uno dei monumenti più singolari della città. Opera complessa che spinge a indagare sulla condizione femminile nell’arte e nella vita attraverso il corpo. Immagini di una Palermo vivace e varia, che speriamo possano contribuire a “riattivare l’energia” culturale del nostro Paese.
* Asia Ruperto, lucana di origine e romana d’adozione, si è laureata nel 2011 con il massimo dei voti in Lingue e Civiltà Orientali presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi dal titolo Il Gruppo de Le Stelle e l’impatto sull’arte contemporanea in Cina. Da 5 anni si occupa dell’organizzazione del festival di cinema asiatico di Roma, AsiaticaFilmMediale. Attualmente è a Pechino dove collabora alla realizzazione di alcuni progetti di scambio tra arte italiana e cinese e si dedica all’insegnamento dell’italiano presso istituti pubblici e privati.