Il Buddhismo è arrivato in Cina attraverso gli scambi commerciali lungo la Via della Seta. Dopo la caduta degli Han occidentali, dal 220 al 589 la Cina ha vissuto secoli di guerre e divisioni interne. Durante quei tempi incerti, il Buddhismo, una religione straniera proveniente dall’India, trovò un terreno fertile per crescere e integrarsi nella cultura cinese. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Clicca qui per le altre puntate
La Via della Seta è nota per essere stata una delle tratte commerciali più antiche al mondo. Deve il suo nome al geografo tedesco Ferdinand Von Richthfon, che coniò nel 1877 per la prima volta il termine in riferimento alla principale merce di scambio tra Cina e Asia centrale e Europa.
La Via della Seta venne formalmente istituita nel II secondo a.C., sotto la dinastia Han, e consisteva in diverse rotte commerciali, sia via terra che via mare. Quella conosciuta come la parte settentrionale della Via della Seta in Cina partiva da Luoyang o Xi’an, attraversando poi il corridoio del Gansu e l’oasi di Dunhuang, raggiungendo il deserto di Takhamaklan per poi diramarsi in due rotte attraverso l’Asia centrale. Sotto la dinastia Han, l’impero cinese era continuamente minacciato da tribù nomadi come gli Xiong Nu. Per far fronte a queste minacce e trovare nuovi alleati nei regni vicini dell’Asia centrale, nel 138 a.C. l’imperatore Wu (156-87 a.C.) inviò il diplomatico Zhang Qian come emissario. Zhang Qian fu il primo a riportare in modo dettagliato i racconti sulle culture e le divinità e delle popolazioni dell’Asia centrale. In particolare, dopo il suo ritorno in Cina, fu il primo a portare testimonianze della religione praticata in India: il Buddhismo.
Dopo l’affermazione del Buddhismo nell’India settentrionale nel V secolo a.C., la sua diffusione in Asia centrale era stata facilitata da diversi fattori. In primo luogo, l’incoraggiamento del lavoro missionario, attribuito allo stesso Buddha, aveva spinto monaci e monache a viaggiare attraverso le rotte terrestri e marittime in regioni lontane dall’India per diffondere la religione. Inoltre, la relazione tra mercanti e comunità buddhiste aveva dato origine ad un’associazione simbiotica che ne favorì la diffusione anche a distanza. Fu proprio grazie ai mercanti che iniziarono a circolare le prime immagini di questa religione, nella forma di statuette e amuleti che questi si portavano appresso lungo viaggi spesso pericolosi e molto lunghi.
Ben presto anche i governanti in varie parti dell’Asia iniziarono a sostenere la diffusione di questa nuova religione attraverso il loro patrocinio. La dottrina buddhista, infatti, si configurò come uno strumento utile a numerosi regnanti per legittimare il proprio potere politico. In particolare, le azioni del re Aśoka (circa 268-232 a.C.) dell’Impero Mauryan (324/ 321-187 a.C.) contribuirono alla sua rapida diffusione del buddismo nell’Asia meridionale nel III secolo a.C.
L’arrivo del Buddhismo in Cina è avvenuto in modo affatto lineare, attraverso un complesso processo di trasmissione, assimilazione e adattamento di concetti estranei alla cultura cinese. In questo, la Via della Seta ha svolto un ruolo fondamentale. Ma solo durante il periodo di divisione interna che seguì la caduta della dinastia Han nel 220 d.C. e l’inizio di secoli di divisione e guerre, la dottrina ha iniziato ad avere una nuova rilevanza come strumento di autorità politica.
Nel corso del tempo il Buddhismo ha quindi interagito con la cultura cinese e le sue tradizioni letterarie e filosofiche, attraverso le istituzioni commerciali e politiche, e si è evoluto modificandosi a sua volta per adattarsi alla società e lingua cinese. Una delle prime difficoltà di trasmissione è stata la traduzione dei testi sacri buddhisti dal sanscrito. I testi sacri (tradizionalmente indicati come Tripiṭaka, “tre cesti”) sono attualmente raccolti in tre canoni: il Canone Pāli (o Pāli Tipiṭaka), il Canone cinese (大 藏經, Dàzàng jīng, “Grande deposito delle scritture”), e il Canone tibetano, così chiamati in base alla loro lingua. Il Canone buddista cinese è stato tradotto da manoscritti portati dall’India intorno al I d.C. ed è composto da 2.184 testi. La versione più antica del Dàzàng Jīng pervenuta ai nostri giorni risale al 515 d.C. ed è riprodotta su rotoli di carta e seta. Le prime traduzioni dal sanscrito presentano una complessa configurazione grammaticale di declinazioni verbali e termini traducibili in cinese se non per assonanza e non per significato: questo rappresentò una difficoltà per i cinesi, i quali che dovevano rendere questi testi nella loro lingua, usando i caratteri invece di un sillabario.
In questo processo, la traduzione e la rappresentazione visiva dei Jataka, cioè i racconti delle vite anteriori del Buddha, è stata cruciale. La rappresentazione figurativa di questi racconti nasce come narrazione didattica dei valori astratti della meditazione e dell’abnegazione, divenendo una sorta di manuale della “buona condotta” per i seguaci buddhisti. Le storie incluse nei Jataka, che si iscrivono nella cultura orale, musicale e di danza indiana, sono state poi assorbite nel Canone buddista cinese.
I dipinti murali dei Jakata ad oggi conservati all’interno delle grotte di Mogao a Dunghuang sono essenziali per comprendere la portata della diffusione del Buddhismo in Cina. Attraverso la loro lettura iconografica, possiamo storicizzare la vita religiosa che iniziava ad affermarsi sulla frontiera nord-occidentale della Cina, come anche identificare le varie influenze culturali e iconografiche che hanno raggiunto i paesi attraversati dalla Via della Seta. In questi dipinti si possono identificare sia animali, come i ricercati Cavalli “che sudano sangue” originari della Battria, che strumenti musicali tradizionali come il liuto cinese, ma anche figure esotiche e personaggi di tradizione indiana che hanno trovato il modo di integrarsi in Cina.
A cura di Camilla Fatticcioni
Fotografa e studiosa di Cina. Dopo la laurea in lingua Cinese all’università Ca’ Foscari di Venezia, Camilla vive in Cina dal 2016 al 2020. Nel 2017 inizia un master in Storia dell’Arte alla China Academy of Art di Hanghzou avvicinandosi alla fotografia. Tra il 2022 e il 2023 frequenta alcuni corsi avanzati di fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. A Firenze continua a portare avanti progetti fotografici legati alla comunità cinese in Italia e alle problematiche del turismo di massa. Combinando la sua passione per l’arte e la fotografia con lo studio della società contemporanea cinese, Camilla collabora con alcune testate e riviste e cura per China Files una rubrica sull’arte contemporanea asiatica.