Molte ong cinesi sono registrate come imprese e perciò incarnano già una natura ambigua no profit-for profit dal momento della loro fondazione. Operare con un modello business può significare continuare il proprio lavoro indisturbati e ottenere più indipendenza dai vincoli governativi e dai fondi dei donatori internazionali.
Le organizzazioni non governative in Cina sono di più facile comprensione se contestualizzate nella comunità, nel sistema politico e nel mercato. In un sistema centralizzato a partito unico come quello cinese, il governo controlla il processo di registrazione e ogni lavoro svolto dalle ong è osservato, se non coordinato o addirittura approvato dalle autorità governative, lasciando poco spazio per la difesa e la crescita della sfera pubblica.
Le ong cinesi, a differenza di quelle occidentali, non si considerano come le avanguardie della società che combattono l’intrusione dello Stato o come un settore indipendente con funzioni distinte, ma spesso vedono se stesse come un completamento dello stesso nei suoi obiettivi. La società si aspetta che sia il governo a risolvere i problemi e, quindi, sostenere il lavoro di un’organizzazione privata con fini sociali o umanitari può essere visto come una critica o accusa del fallimento dello Stato: un’impresa dunque potenzialmente molto rischiosa.
Allo stesso tempo, le ong richiedono risorse per sopravvivere e per questo devono interagire con gli attori che le controllano. In questo senso, esse dipendono dal loro ambiente e in quello cinese è realistico supporre che un’organizzazione non sia in grado di sopravvivere senza le risorse che vengono dal mercato.
In uno studio del 2011 il Prof. Hildebrand, esperto in società civile e attivismo in Cina, osservava che la totalità delle ong prese in considerazione aveva o stava cercando di riformulare la loro strategia guardando con interesse la struttura delle imprese. Anche se il modello business tende ad essere lo stesso nei vari paesi, le motivazioni della sua adozione e di conseguenza l’impatto dello stesso sul settore si diversifica in ogni ambiente.
Il settore delle ong nel contesto cinese è profondamente intrecciato con le condizioni politiche e sociali, il che significa che operare con un modello business potrebbe rappresentare una possibilità per continuare il proprio lavoro indisturbati e ottenere più indipendenza dai vincoli governativi e dai fondi dei donatori internazionali.
L’adozione di valori e metodi che in genere caratterizzano il settore di mercato stanno profondamente cambiando il ruolo e la portata delle ong cinesi che ne traggono benefici ma che nello stesso tempo vanno anche incontro a dei rischi che non sono da sottovalutare. Nella lotta per trovare una identità, le ong cinesi sono molto più vulnerabili alle influenze di altri attori: molte di esse sono attratte dai fondi che provengono dai donatori del secondo settore in quanto il governo o le fondazioni non sono disponibili e i finanziamenti internazionali sempre più scarsi.
Molte ong cinesi sono registrate come imprese e perciò incarnano già una natura ambigua no profit-for profit dal momento della loro fondazione. Sempre nello studio condotto da Hildebrandt nel 2011, il 67 per cento delle ong partecipanti erano registrate come businesses o come consulting firm.
Altro dato che conferma che il settore non governativo in Cina è sempre più propenso all’adozione dei metodi e valori degli attori di mercato è la fioritura delle organizzazioni dette “incubatrici”, come la piattaforma sociale Enpai, che offrono servizi alle ong cinesi proponendo come modello le imprese sociali.
I principali fenomeni che si verificano all’interno del settore no profit in concomitanza con l’adozione di modelli business sono: la generazione di ricavi commerciali , la concorrenza di mercato, l’influenza nelle decisioni dei donatori e l’entrepreneurship sociale. In linea di massima, le ong cinesi ricavano molti benefici dall’acquisizione di certe caratteristiche come risorse più stabili, maggiore efficienza e innovazione, un migliore orientamento dei servizi, una maggiore legittimità e la possibilità di un maggiore carico di lavoro.
Allo stesso tempo, però, queste tendenze hanno un impatto sulle ong mettendole a rischio di allontanarsi dalla loro missione originaria, diminuendo l’attivismo sociale e aumentando le attività a scopo di lucro a scapito dei progetti. Le ong rischiano inoltre di diventare una nuova entità nel sistema di mercato.
La società civile, vista come tutrice dei valori, dispensatrice di servizi e costruttrice di capitale sociale, è minacciata dalla “mercatizzazione” soprattutto in Cina, dove lo sviluppo della stessa è ancora a uno stadio embrionale e il rischio di ridursi a una mera nuova area di mercato è notevole.
Le difficoltà incontrate nel settore no profit in Cina sono, nella maggioranza dei casi, da ricondursi alla scarsità di risorse finanziarie, alla mancata capacità di servizio e di personale qualificato. Proprio per questo, attività orientate al mercato all’interno del settore sarebbero in grado di fornire un flusso affidabile di risorse e una migliore gestione dei servizi e delle esigenze del cliente.
Oltre a questo, l’efficienza degli indicatori di performance aziendale renderebbe il settore no profit più trasparente e credibile, tale cioè da attrarre fondi dai donatori. Anche se il viraggio verso una modalità business like sembra soddisfare le esigenze di sopravvivenza a breve termine delle ong nella Terra di mezzo, nello stesso tempo esso potrebbe avere conseguenze negative a lungo termine andando ad intaccare la società civile intesa come generatrice di cambiamento, innovazione e lotta per i diritti.
La concorrenza avrebbe un impatto sugli sforzi di advocacy perché sfida le capacità e le energie del personale delle ong, chiamato non solo a promuovere la missione dell’organizzazione ma anche a eseguire attività complesse in un contesto sempre più competitivo.
Di conseguenza, il capitale sociale sarebbe intaccato in due aree principali: in primo luogo, le ong avrebbero meno bisogno di costruire relazioni con gli stakeholder o circoscrizioni tradizionali. Queste reti sociali sono indispensabili per l’azione collettiva al fine di affrontare i problemi sociali, ma la ridotta necessità di costruire reti scoraggerebbe la partecipazione pubblica.
In secondo luogo, le ong che adottano strategie di mercato non hanno le risorse da spendere nella costruzione di capitale sociale. La competizione con coloro che sono impegnati in attività generatrici di reddito porterebbe le organizzazioni ad essere più concentrate nella fornitura di servizi facendo passare in secondo piano il rafforzamento della società .
In conclusione, rimane aperta la questione sull’impatto dell’adozione del modello business da parte delle ong cinesi e se questo possa essere uno strumento per costruire un nuovo tipo di advocacy tramite i servizi o se invece possa portare a una depoliticizzazione totale delle ong e quindi alla fusione del secondo e terzo settore.
*Fiorinda Di Fabio nasce ad Ascoli Piceno nel torrido agosto 1986, si laurea in Lingue e Civiltà Orientali all’Università di Roma “La Sapienza”. Si specializza prima all’Universita’ di Lingue e Culture di Pechino poi all’Universita’Qinghua in Sviluppo Internazionale con una tesi sulle strategie di advocacy delle ong in Cina. Dal 2009 ha collaborato presso diverse ong e in due dei piu’ importanti centri di ricerca che si occupano di societa’ civile in Cina: China Development Brief e il Centro di Ricerca per le ONG dell’Universita’ Qinghua. Nel 2010 fonda morning tears Italia a Macerata che si occupa di figli di condannati a morte e detenuti in territorio cinese.