Nei giorni scorsi il quotidiano genovese Il Secolo XIX aveva rivelato la possibilità che il porto di Genova potesse aprire una partnership con la cinese CCCC (China Communications Costruction Company) per quanto riguarda eventuali appalti e grandi opere nel porto di Genova.
Martedì il quotidiano ospitava la conferma di quanto scritto precedentemente a proposito delle affermazioni del presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale Paolo Emilio Signorini. Secondo quest’ultimo «A fine mese, durante la visita a Roma del Presidente cinese Xi Jinping, «l’Italia, primo Paese dell’Europa Occidentale a farlo – ha detto Signorini – firmerà un accordo bilaterale con la Cina sulla Belt&Road. In questa cornice strategica (la Cina pesa per il 30% dell’interscambio dei porti di Genova e Savona, ndr) faremo un accordo di cooperazione con CCCC, per sfruttare la sua grande esperienza in fase di predisposizione dei bandi di affidamento di alcune delle grandi opere previste dal programma del Commissario Bucci».
Signorini ha confermato quanto si dice da settimane – e quanto avevamo scritto a margine della recente visita del ministro degli esteri cinese a Roma Wang Yi – ovvero l’imminente firma da parte dell’Italia di un memorandum sulla Nuova via della seta (Obor o Bri), il progetto mastodontico di infrastrutture e investimenti voluto dal presidente cinese Xi Jinping (e lanciato nel 2013, eventualità che secondo i detrattori del progetto non è irrilevante: nel 2013, si dice, la situazione economica globale e quella specifica della Cina erano differenti rispetto a oggi).
Roma è da sempre vicina al progetto: nel 2017 – durante il primo summit a Pechino sulla B&R – Paolo Gentiloni, allora premier, fu uno dei pochi tra i leader occidentali a essere presente (a questo proposito va ricordato che l’Italia è anche membro della banca di investimenti creata ad hoc da Pechino fin dall’inizio).
Ora si parla direttamente di firme – anche se Michele Geraci al Sole24ore sembra voler sminuire l’impatto dell’eventuale memorandum – da apporre o durante la visita di Xi prevista a fine marzo, o ad aprile a Pechino, per il secondo Summit della nuova via della Seta.
Ci sono però dei problemi: in primo luogo in Cina – da settimane – è in corso una sorta di dibattito sui media in relazione proprio all’Italia. Pur senza mai citare la visita di Xi, ancora da confermare, i cinesi sono piuttosto scettici rispetto al comportamento del governo italiano per quanto riguarda il Tav. Bloccare una grande opera, secondo i cinesi, non costituisce un viatico troppo ottimistico per una eventuale collaborazione. Intendiamoci: i cinesi non pongono condizioni. Registrano semplicemente le problematiche italiane rispetto alle grandi opere, anche perché Pechino difficilmente deve affrontare problemi di questo tipo, in Cina.
La Cina – infatti – si muove su progetti infrastrutturali giganteschi: pipeline, autostrade, ferrovie. Proprio in questi giorni, durante l’Asssemblea nazionale, il premier Li Keqiang ha annunciato nuovi investimenti proprio in infrastrutture, compreso progetti rilevanti per quanto riguarda le ferrovie.
Infine – come si sa da tempo -si sono messi in mezzo gli Stati uniti, che naturalmente vedono nell’eventuale firma del Mou da parte italiana una sorta di spostamento geopolitico dell’Italia.
Washington da mesi è impegnata a screditare Huawei e altre aziende cinesi; ieri la Commissione europea ha votato per fare partire – da aprile – lo screening sugli investimenti stranieri diretti in Europa, con un chiaro riferimento alla Cina, e l’Italia si è astenuta.
E oggi il Financial Times ospita un intervento di Garrett Marquis, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, nel quale si invita l’Italia a non percorrere la strada cinese. In pratica: l’attività frenetica dell’ambasciata Usa a Roma è definitivamente venuta allo scoperto, direttamente da Washington.
Anche la Cina, dunque, diventa un grattacapo per il governo, proprio nell’imminenza di una firma che – per quanto il governo tenda a minimizzare, cambierà il sistema di alleanze italiane.
(Aggiornato alle ore 14.00 del 6 marzo 2019)
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.