Marco Polo, oggetto di numerosi studi e oggi al centro di un’ampia rassegna di iniziative dedicate alla ricorrenza del 700 anniversario dalla morte, è simbolo del viaggio e dell’esplorazione, temi che hanno reso questo personaggio strumentale alla presentazione dell’arte contemporanea cinese,
Il 2 giugno 2009, in occasione di un evento collaterale della 53° esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, Achille Bonito Oliva definì il suo incontro con Lü Peng, storico e critico d’arte cinese, una sorta di reenactment tra Marco Polo e Kublai Khan. Nello specifico si trattava del discorso di apertura della mostra “A gift to Marco Polo” dedicata alla figura e al mito del mercante veneziano, a cui nove artisti cinesi, tra i più noti del panorama internazionale, furono chiamati a partecipare dai due co-curatori.
Marco Polo, oggetto di numerosi studi e oggi al centro di un’ampia rassegna di iniziative dedicate alla ricorrenza del 700 anniversario dalla morte, è simbolo del viaggio e dell’esplorazione, temi che hanno reso questo personaggio strumentale alla presentazione dell’arte contemporanea cinese, soprattutto a Venezia, città natale del mercante e luogo che ha segnato l’endorsement dell’arte contemporanea cinese nei circuiti internazionali dell’arte. Infatti, a dieci anni dalla trasmissione televisiva della miniserie RAI “Marco Polo”, produzione diretta da Giuliano Montaldo che ebbe un ruolo fondamentale nel decretare la popolarità del viaggiatore veneziano, Marco Polo divenne figura storica a cui guardare per la curatela di mostre organizzate alla kermesse veneziana.
Intorno al personaggio di Marco Polo sono nati progetti artistici ed espositivi, sia di ampio respiro internazionale, sia specificatamente dedicati all’arte cinese, dimostrando la versatilità del tema del viaggio verso l’Oriente, facilmente adattabile ad una lettura del fenomeno della globalizzazione in arte e, al contempo, la carenza di altri paradigmi attraverso cui promuovere e veicolare la produzione artistica di un paese che fino a pochi anni prima era in una condizione di totale isolamento.
[Nam June Paik, Marco Polo, 1993]
Recenti studi hanno rivelato che proprio il viaggiatore della Repubblica di Venezia costituì un punto di riferimento per la Biennale del 1993, edizione intitolata “I Punti Cardinali dell’arte” che ambiva a scardinare l’idea della contrapposizione est/ovest e nord/sud in favore di una visione “a mosaico” del contesto globale. Per il direttore della Biennale Achille Bonito Oliva, il viaggio lungo la Via della Seta fu il modello per ricostruire mondi comunicanti nel contesto geo-politico che seguì la Guerra fredda. Proprio il processo di smantellamento della visione a due poli del mondo ha rappresentato un tema che gli artisti hanno esplorato attraverso le loro opere, le quali spesso riflettono sulla dinamica del movimento e sull’interscambio di persone e idee. Ad esempio, l’artista coreano Nam June Paik realizzò “Marco Polo”: un totem costituito da sei schermi, che trasmettevano in videoloop immagini astratte rappresentanti lo sviluppo di civiltà diverse, eretto su un’automobile traboccante di fiori del marchio tedesco Volkswagen.
Se Nam June Paik propose un’interpretazione in chiave moderna della mobilità di persone e informazioni tra continenti, per l’edizione successiva, coincidente con il 700 anniversario del rientro a Venezia di Marco Polo, Cai GuoQiang realizzò “Bringing to Venice what Marco Polo forgot”, una rievocazione storica del suo ritorno in madrepatria. L’artista cinese, la cui città natale, Quanzhou, fu il porto da cui Marco Polo si imbarcò per il viaggio di ritorno, portò a Venezia un’imbarcazione in legno riempita di sacchi di juta contenenti erbe e medicinali, simboli della visione orientale del cosmo e della vita. Il giorno dell’inaugurazione della mostra “Transculture”, l’artista condusse l’imbarcazione al Palazzo Giustinian Lolin, dove preparati e tonici appositamente imbottigliati erano disponibili ai visitatori tramite un distributore automatico. Con questa operazione, l’artista propose un’arguta allusione al presente, suggerendo che, mentre il XX secolo volgeva al termine, la Cina era pronta a offrire al mondo non solo opportunità commerciali.
Ulteriori spunti di riflessione per cogliere come il leggendario viaggio di Marco Polo sia stato interpretato da artisti cinesi che ne osservano le caratteristiche e le implicazioni a secoli di distanza, sono forniti dalla sopracitata mostra monotematica del 2009, curata da Achille Bonito Oliva e Lü Peng all’isola di San Servolo. Per l’esposizione “A gift to Marco Polo”, Yue Minjun presentò “Labyrinth”, una serie di dipinti basati sulla fusione e il mescolamento di disegni e motivi tratti da alcuni rinomati artisti cinesi, quali Qi Baishi, Xu Beihong e Zhang Daqian. In queste opere, l’eredità e l’influenza dei grandi maestri dell’arte cinese sono celate e mascherate in enigmatiche composizioni. Yue Minjun, infatti, utilizzò l’immagine del labirinto come metafora della difficoltà di districarsi nei meandri di una cultura, alludendo al “labirinto Orientale” che Marco Polo si trovò di fronte e che esportò tramite il suo racconto.
All’esportazione di modelli culturali, e alle derive conflittuali e militari, Wang Guangyi dedicò “Scenes”, un’installazione composta da detriti e copie di incisioni realizzate dal famoso missionario gesuita Giuseppe Castiglione. Queste incisioni ritraenti il Palazzo Yuanmingyuan di Pechino, la residenza imperiale che incontrò la sua tragica fine per mano delle forze del commissario britannico Lord Elgin durante il tumultuoso periodo della Seconda guerra dell’oppio, erano sigillate tra lastre di plexiglass e poggiate in terra, accanto a calcinacci e macerie che avevano lo scopo di rievocare gli episodi della distruzione del Palazzo nel 1860.
La mostra dedicata all’esploratore veneziano per Wang Guangyi fu un’occasione per museificare il ricordo di alcuni episodi storici che mettono in luce il controverso rapporto dell’Occidente con la Cina. Il motivo di Marco Polo, comunemente considerato simbolo del viaggio fisico e metaforico tra culture diverse, al punto tale da assumere ruolo chiave per la storicizzazione occidentale del fenomeno della globalizzazione in arte, ha permesso la reinterpretazione e la problematizzazione di un topos narrativo da parte degli artisti cinesi, dal cui osservatorio ne propongono una visione più sfaccettata rispetto a quella del semplice archetipo dello scambio culturale. Infatti, la loro rilettura della figura storica di Marco Polo è volta a prendere atto della memoria coloniale e delle dissimulazioni e gli adattamenti che dall’interazione culturale prendono forma, facendo così da eco al dibattito internazionale che trova sintesi nella “Sindrome di Marco Polo”, nozione avanzata dallo storico dell’arte Gerardo Mosquera per descrivere le dinamiche eurocentriche presenti nel mondo dell’arte.
Di Veronica di Geronimo
Veronica Di Geronimo, storica dell’arte di formazione, è attualmente dottoranda in storia e teoria dell’arte presso la School of Arts della Peking University. Dopo la laurea conseguita all’Università di Roma La Sapienza, ha curato la mostra Sincretismi per Lo Studiolo e ha lavorato nell’ufficio comunicazione della Galleria Nazionale. Dal 2021 al 2023 è stata junior scientist all’Accademia di Belle Arti di Roma per un progetto europeo finanziato da Horizon2020. I suoi interessi di ricerca spaziano dalle nuove tecnologie alla globalizzazione dell’arte cinese contemporanea.