Okinawa: in Giappone la prefettura più popolata di truppe americane (metà di quelle nel paese fin dal ’45) guarda a Pechino. E il governatore Tamaki, figlio di un marine rimpatriato al volo, visita la Cina
«Erediteremo e manterremo saldamente i legami tra la Cina e Okinawa e creeremo un’epoca di pace e ricchezza». Musica per le orecchie di Xi Jinping, suonata da Denny Tamaki davanti alle rovine di un cimitero nei sobborghi di Pechino. Lì sono sepolti gli abitanti di Okinawa dell’epoca in cui l’isola faceva parte del Regno delle Ryukyu, entità indipendente con uno stretto legame tributario e culturale con la dinastia imperiale cinese dei Qing, prima dell’annessione giapponese del 1879.
TAMAKI è il governatore della prefettura di Okinawa e si trova in questi giorni in Cina per una visita ad alto tasso simbolico con possibili ricadute molto pratiche sulla conformazione strategica dell’Asia orientale. Con lui una delegazione di 80 persone tra cui diversi uomini d’affari e Yohei Kono, ex speaker della camera bassa della Dieta.
Ieri, 5 luglio, c’è stato l’incontro col premier Li Qiang, mentre oggi Tamaki si è spostato nel Fujian, la provincia con cui Okinawa ha mantenuto floridi scambi per oltre sei secoli. Ed è anche la provincia dove Xi è stato per diversi anni, all’inizio della sua scalata al vertice del Partito comunista.
PROPRIO UN INEDITO commento di Xi ha dato vita alla visita di Tamaki. Lo scorso 1° giugno il presidente cinese si è recato all’Archivio nazionale delle pubblicazioni e della cultura, fiore all’occhiello della strategia di esaltazione delle radici storiche spinta da Xi nella “nuova era”. Durante la visita, Xi si è fermato davanti a un libro stampato su legno sulla storia delle Ryukyu, utilizzato da Pechino per sostenere le sue rivendicazioni sulle isole Senkaku/Diaoyu, amministrate da Tokyo. «Quando lavoravo a Fuzhou, ho conosciuto il rapporto profondo con le Ryukyu», ha detto Xi, chiamando per la prima volta le isole (a cui il Giappone si riferisce come Nansei) con questo nome. Ha poi ricordato i 36 clan del popolo Min che si spostarono dalla Cina all’arcipelago durante la dinastia Ming nel XIV secolo. Invitando poi a raccogliere e ordinare tali documenti storici per «ereditare e sviluppare bene» la civiltà cinese.
Parole che sembrano limitarsi a evidenziare in modo innocuo legami storici con un territorio non lontano dalle coste cinesi. Ma il resoconto della visita, pubblicato in prima pagina sul Quotidiano del Popolo del 4 giugno, ha innescato una serie di riflessioni di esperti cinesi che sono tornati a mettere in dubbio la legittimità della sovranità giapponese su Okinawa.
Il suo territorio comprende un gruppo di isole altamente strategico per la sua vicinanza a Taiwan (poco più di 100 chilometri) e per la presenza capillare di basi e militari statunitensi. D’altronde, Okinawa è rimasta sotto amministrazione americana fino al 1972.
Il sangue versato durante la Seconda guerra mondiale e l’assimilazione forzata della cultura locale Luchu non sono mai stati dimenticati.
Prima che fossero sganciate le bombe atomiche nel 1945, Okinawa ha perso un quarto della sua popolazione civile. Da anni i residenti protestano contro Tokyo e Washington: la prefettura copre solo lo 0,6% del territorio giapponese ma ospita il 70% del terreno utilizzato per le basi e più della metà dei 50 mila militari statunitensi presenti in tutto il paese. Gli attivisti chiedono da tempo la chiusura delle basi, criticando tra le altre cose l’inquinamento acustico e diversi incidenti.
La Okinawa Women Act Against Military Violence, Ong femminista che fa parte del movimento anti-basi, ha denunciato nei decenni centinaia di presunti crimini, compresi diversi casi di violenza sessuale che sarebbero stati commessi dal personale statunitense contro le donne locali.
Il governatore Denny Tamaki prega sulle tombe del Regno di Ryukyu, l’antica denominazione cinese di Okinawa foto Ap
IN TAL SENSO, Tamaki si è spesso descritto come l’incarnazione della situazione vissuta da Okinawa ospitando le basi americane. Quando nasce, nel 1959, l’isola è ancora sotto amministrazione degli Stati uniti. È figlio di una donna locale e di un marine americano, che abbandona Okinawa prima ancora della sua nascita e che non sarà mai in grado di ritrovare. A 10 anni Denny decide di cambiare il nome in Yasuhiro, mentre la madre distrugge qualsiasi ricordo legato a suo padre.
A Tokyo fanno notare che Mao Zedong ha ufficialmente riconosciuto Okinawa parte del Giappone negli anni Sessanta, ma i commenti di Xi stanno creando preoccupazione nell’amministrazione del premier Fumio Kishida, nel timore che la Cina possa infiammare il sentimento anti militarista della popolazione locale per ampliare non solo le divergenze politiche col governo centrale ma anche il sentimento di alterità culturale e identitario Luchu.
Creando tensioni con Washington, che pianifica anzi di aumentare il dispiegamento militare a Okinawa, e incunearsi in una catena di isole che sarebbe direttamente coinvolta in un ipotetico scenario militare sullo Stretto di Taiwan. Lo dimostra anche il passaggio ravvicinato della portaerei Liaoning lo scorso dicembre, guidando una inedita serie di manovre di jet ed elicotteri nei pressi delle Nansei/Ryukyu.
TAMAKI NON SEMBRA condividere la preoccupazione di Tokyo e anzi utilizza l’interesse cinese come leva politica negoziale. Durante la visita, il governatore ha anche rilasciato un’intervista al tabloid nazionalista Global Times, in cui ha invitato Giappone e Usa a «compiere sforzi per allentare le tensioni» su Taiwan e ha promesso che farà di tutto per evitare che Okinawa torni a essere «un campo di battaglia».
La speranza che il passato non torni è diffusa. Ma in Asia la storia, si sa, non passa mai.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.