Una nuova polemica territoriale tra Tokyo e Pechino, già divise sulle Senkaku/Diaoyu. La Cina, hanno scritto due studiosi vicini al Partito, avrebbe la sovranità sulle isole Ryukyu, di cui fa parte anche Okinawa. Solo una provocazione o una un tentativo dei "falchi" dell’esercito di fare pressione sul presidente Xi? Nel Risiko del mar Cinese Orientale, la Cina abbozza una clamorosa manovra diversiva puntando su Okinawa e facendo allarmare (e infuriare) i giapponesi. O forse siamo di fronte alla classica tempesta in un bicchiere d’acqua, rivelatrice però dello stato di tensione nell’area.
Mercoledì è comparso sul Quotidiano del Popolo – organo del Partito comunista cinese – un dotto commento di stampo accademico che avanza l’ipotesi secondo cui l’arcipelago delle Ryukyu, di cui fa parte Okinawa, apparterrebbe in realtà alla Cina. Le isole sono disposte in una sottile linea a forma di arco che dal limite meridionale del Giappone arriva a lambire le coste settentrionali di Taiwan. Più a ovest si trovano le contesissime Senkaku/Diaoyu.
Sembrerebbe quindi che Pechino avanzi un’ulteriore rivendicazione, che ai giapponesi suona come una provocazione. Così Tokyo ha chiesto immediati chiarimenti e prese di distanza ufficiali da parte del governo cinese.
Il professore Li Guoqiang, uno degli autori dell’articolo, ha immediatamente fatto marcia indietro dichiarando alla stampa che mai e poi mai avrebbe sostenuto che le Ryukyu siano cinesi: “La nostra cosiddetta ‘revisione’ non intende assolutamente dire che le Ryukyu appartengano alla Cina o che dovrebbero appartenerle”. In realtà, il pezzo affronta più che altro la questione delle Senkaku/Diaoyu e accenna solo di sfuggita all’arcipelago di cui fa parte Okinawa.
In seguito, l’agenzia ufficiale Xinhua ha rilasciato una nota piuttosto irritata in cui si citano le parole del portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying che rifiuta le proteste formali del Giappone, a cui si imputa invece il perdurante stato di tensione nell’area.
La ricostruzione storica cinese sembrerebbe sostenere che le Ryukyu fossero in passato veri e propri “Stati tributari” del Celeste Impero e che durante le dinastie Ming e Qing la situazione di disordine interno della Cina abbia permesso al Giappone di occuparle.
Il peso delle ricostruzioni storiche è evidente in tutte le schermaglie tra i due Paesi nel mar Cinese Orientale, nonché nelle tensioni tra Pechino e i Paesi limitrofi nel mar Cinese Meridionale. Su presunte mappe antiche si basano le rivendicazioni cinesi sulle Senkaku/Diaoyu (mentre Tokyo sembra rifarsi all’ocupazione effettiva sancita da trattati internazionali successivi al secondo conflitto mondiale) e la famosa “nine-dash line” (la linea dei nove trattini), cioè la mappa che Pechino considera valida per delimitare le acque territoriali cinesi.
Go Ito, professore di relazioni internazionali presso l’Università Meiji di Tokyo, fa un’analogia piuttosto divertente e che ci riguarda da vicino. Per lui le rivendicazioni territoriali di Pechino basate sulla storia sono “semplicemente ridicole”: “Se l’Italia applicasse la stessa logica, si potrebbe sostenere che praticamente tutta l’Europa è territorio sotto la sovranità italiana, perché una volta era sotto il controllo dell’Impero Romano”.
Da parte cinese, il professor Wang Hanling, esperto marittimo dell’Accademia di Scienze Sociali, ha detto che Pechino non ha nessuna intenzione di puntare su Okinawa, “ma questi articoli ospitati da media ufficiali dimostrano che non possiamo tollerare quello che il Giappone e gli Stati Uniti ci hanno fatto di recente”.
Il South China Morning Post osserva che difficilmente le Ryukyu diventeranno oggetto del contendere, anche perché Okinawa ospita circa 50mila soldati Usa ed è da anni al centro di polemiche tra i residenti da una parte, esasperati dalla presenza americana, e i governi di Tokyo e Washington dall’altra. Per l’esercito Usa, l’isola giapponese ha un fondamentale valore strategico (la utilizza come base di partenza per operazioni in tutta l’Asia e il Pacifico), mentre il governo giapponese è in parte vincolato dai trattati, in parte rassicurato dalla presenza dei militari stranieri.
Tra gli analisti, le interpretazioni sull’articolo del Quotidiano del Popolo divergono: è davvero una semplice divagazione accademica oppure una provocazione di Pechino per giustificare ulteriormente le proprie rivendicazioni sulle Senkaku/Diaoyu? Le variabili sono troppe e comprendono anche l’ipotesi che qualcuno all’interno dell’establishment cinese – si ipotizzano i “falchi” legati all’Esercito Popolare di Liberazione – voglia forzare la mano al presidente Xi.
[Scritto per Lettera43; foto credits: Reuters]