Han Shaogong è un noto scrittore cinese contemporaneo. Narratore, saggista, teorico della letteratura e intellettuale, è molto conosciuto nel mondo grazie alle traduzioni dei suoi libri. Rispetto ad altri scrittori cinesi, non è molto noto al grande pubblico italiano.
Negli anni Ottanta, Han Shaogong pubblica un saggio intitolato “Le radici della letteratura”, con il quale stimola un dibattito sulla letteratura e si fa promotore di un movimento di rinnovamento culturale: la corrente letteraria della “ricerca delle radici”. Le sue opere si basano principalmente su esperienze e fatti avvenuti durante la Rivoluzione Culturale e hanno vinto numerosi premi sia in Cina che all’estero, tra cui il Premio Newman per la Letteratura Cinese a lui conferito nel 2011.
Han Shaogong ha finora scritto quattro romanzi, tredici novelle, sei raccolte di saggi e la sceneggiatura di un film. Ha anche tradotto il romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera e il Libro dell’inquietudine di Fernando Pessoa.
In questi mesi la maggior parte della popolazione mondiale è in quarantena a causa della pandemia in corso di COVID-19. Lei come sta vivendo questi mesi di isolamento? Com’è la situazione sull’isola-provincia di Hainan?
Attualmente mi trovo in un’abitazione nell’isola di Hainan, la provincia più meridionale della Cina. Come tutti, anch’io passo molto tempo chiuso in casa. Non posso viaggiare e cerco di evitare i luoghi affollati. Tuttavia, rispetto ad altre zone, l’isola di Hainan è un’area a basso rischio, perciò ogni giorno mi reco in riva al mare a fare una passeggiata. Metto sempre la mascherina, in particolar modo quando vado al supermercato.
Che cos’è per lei la scrittura? E cosa significa scrivere in Cina al giorno d’oggi?
Scrivere può essere un modo per guadagnarsi da vivere, può essere un gioco, un modo di dialogare con gli amici, o forse anche un modo per conversare con Dio… Le persone sono complesse e mutevoli. Per me la scrittura è tutto ciò, e questi aspetti si manifestano in modi diversi nelle mie varie opere. Non credo che la scrittura possa essere definita in modo univoco.
Nel corso di una nostra conversazione, mi ha confidato di essere stato in Italia ben due volte. Mi ha detto che le piace molto la nostra cultura e la nostra gente. Insomma, si è sentito a casa. Mi ha anche raccontato di aver letto molti libri di scrittori italiani. Le va di condividere con i nostri lettori chi è il suo scrittore italiano preferito? Ha esercitato su di lei una qualche influenza dal punto di vista letterario?
L’Italia è una delle fonti più importanti della civiltà occidentale, culla e protagonista indiscussa del Rinascimento. Ovunque tu vada, è come entrare in un museo. Libertà, entusiasmo, passione. La vita quotidiana è intrisa di calore umano e di affetto. Si vive bene. Calvino e Pirandello sono due grandi scrittori italiani che mi stanno particolarmente a cuore. Anche Alberto Moravia mi piace molto. Benedetto Croce e Antonio Gramsci sono due intellettuali molto saggi e li cito spesso nelle mie opere. Rimanendo in Europa, nel 2010 mi sono recato a Bruxelles dove ho avuto modo di partecipare al primo forum culturale di alto livello UE-Cina (inteso a rafforzare il dialogo culturale e la cooperazione tra l’Unione europea e la Cina). In quell’occasione ho scambiato qualche parola con Umberto Eco, un momento davvero indimenticabile. Ho sempre nutrito grande stima per la sua ampia visione e per la profondità del suo pensiero.
Allargando lo sguardo alla letterature mondiale, quale scrittore o scuola letteraria ha svolto un ruolo di primo piano nel plasmare il suo stile?
Sono un animale onnivoro e ho gusti molto variegati, per cui non saprei indicare uno scrittore in modo particolare. Così come non saprei dire con esattezza qual è il mio piatto preferito. Diciamo che le mie influenze letterarie sono multiple, complesse e a tratti si intersecano. A volte ti rendi conto che ti piace mangiare un qualcosa dal sapore dolce solo quando ti capita di mettere in bocca qualcosa di piccante. Oppure capisci il valore del cibo salato solo dopo aver assaporato qualcosa di dolce.
A Dictionary of Maqiao, opera ancora inedita in Italia, viene considerato, a giusto titolo, uno dei suoi capolavori. Possiamo parlare dello stile e da cosa ha tratto ispirazione? Lei è stato uno dei promotori della letteratura della radici. Può condividere con i nostri lettori quali sono le peculiarità di questa corrente letteraria e in che modo riflette le caratteristiche insite nelle sue opere?
Il movimento di cui mi sono fatto promotore negli anni Ottanta, ovvero la corrente letteraria della “ricerca delle radici”, è nato in risposta a un contingente storico-culturale ben preciso. Da una parte la battaglia durante la Rivoluzione Culturale per sradicare i temutissimi “Quattro Vecchi” (vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi e vecchie abitudini, che secondo la visione maoista avevano mantenuto la Cina debole); dall’altra parte è nato anche in risposta ai fautori dell’occidentalizzazione totale (liberali critici della Repubblica Nazionalista di Nanchino i quali ritenevano che la Cina dovesse importare dall’Occidente non solo gli elementi materiali della modernità ma anche quelli politici e culturali). In entrambi i casi si tratta di posizioni radicali che hanno scaturito una nevrosi culturale di massa e che hanno portato a una vera e propria auto-castrazione della cultura.
Tanti Paesi nel mondo sono stati colonizzati dall’Europa per centinaia di anni. I loro sistemi politici, le religioni praticate dalle popolazioni locali così come le lingue sono cambiate. In certe istanze si è trattato di una vera trasformazione radicale; eppure questi Paesi non si sono trasformati in una seconda Europa. Pertanto, stabilire una normale relazione di dialogo tra le varie tradizioni culturali, imparare gli uni dagli altri e reinventarsi è ciò che un popolo adulto dovrebbe fare.
Alcune opere di scrittori del calibro di Ah Cheng, Zheng Yi, Jia Pingwa, Wang Anyi, Li Rui e Mo Yan sono state definite come appartenenti alla corrente letteraria della ricerca delle radici. I lettori italiani forse conoscono meglio Ah Cheng e Mo Yan. Essendo stato il promotore di questa corrente letteraria, secondo lei qual è la differenza principale tra le sue opere e quelle degli scrittori appena citati?
Dovremmo chiederlo ai lettori. Io potrei peccare di imparzialità.
A Dictionary of Maqiao è stato pubblicato nel 1996. Lo ha scritto come se stesse compilando un dizionario. Ha scelto 115 voci lessicali che, per così dire, rappresentano il villaggio fittizio di Maqiao, situato nella contea di Miluo, nella provincia dello Hunan. Per quale motivo ha scelto proprio questa tipologia narrativa?
Organizzare la struttura del romanzo sulla base di 115 voci lessicali mi ha permesso di introdurre alcuni elementi di saggistica. Mi sono sentito più libero di esprimere le mie sensazioni e di realizzare un nuovo esperimento testuale di narrativa. Nel libro L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, che ho avuto modo di tradurre, c’è un capitolo che assume la forma di un dizionario: il dizionario delle parole fraintese. Il romanzo tradizionale come forma narrativa è in circolazione da tempo immemore. Credo che valga la pena di incoraggiare ogni nuovo tentativo di esperimento testuale.
Dopo la pubblicazione di A Dictionary of Maqiao, è stato accusato dai critici letterari Zhang Yiwu e Wang Gan di aver plagiato il Dizionario dei Chazari: Romanzo Lessico, primo romanzo dello scrittore serbo Milorad Pavić, pubblicato nel 1987, scatenando un vero e proprio caso: “il caso Maqiao”. Lei all’epoca disse pubblicamente:“Non si tratta di una lesione accidentale, bensì di un vero e proprio omicidio culturale premeditato”. In seguito ha citato in giudizio i due critici letterari per diffamazione e ha vinto il caso. Cosa intendeva dire con “omicidio culturale premeditato”?
Non li conosco personalmente. Ho semplicemente criticato il loro mammonismo, ovvero un tipo di superstizione e fanatismo fondamentalista nei confronti del denaro, della commercializzazione e della globalizzazione capitalista. In primis hanno falsificato il mio punto di vista, dopodiché sono andati a pescare le somiglianze tra due titoli, lanciando una vera e propria campagna per “catturare il ladro” e per “dare la caccia alle streghe”. Hanno fatto in modo che i giornali, i televisori e Internet si unissero alla campagna per distruggere la mia reputazione. Un approccio esecrabile.
Nonostante all’epoca non avesse letto il Dizionario dei Chazari: Romanzo Lessico di Milorad Pavić, ha avuto occasione di leggerlo in seguito? Che ne pensa?
Sì, l’ho letto successivamente. Nutro molto rispetto per le idee e l’approccio narrativo dell’autore. Preferirei non addentrarmi nella discussione. Ci tengo a dire che il Dizionario di Maqiao è stato già tradotto e pubblicato in Serbia. Il professore Radosav Pušić nel 2009 disse: “È difficile essere d’accordo con Zhang Yiwu e Wang Gan. La maggior parte dei resoconti dei media cinesi hanno semplicemente raggiunto lo scopo di ottenere un effetto sensazionalista. Dovremmo riflettere seriamente prima di sentenziare.” Come se non bastasse, Douwe Fokkema, ex presidente dell’associazione internazionale di letteratura comparata, nel 2005 scrisse: “Ho condotto un’analisi comparata dei due ‘dizionari’. Devo ammettere che l’opera di Han Shaogong non ha nulla in comune con quella di Milorad Pavić. Han Shaogong ha scritto un’opera originale a tutti gli effetti. Inoltre, ovviamente questo è solo il mio giudizio personale, ritengo che il Dizionario di Maqiao abbia maggior valore del ‘dizionario’ dello scrittore serbo-croato”.
Le sue opere e il suo stile sono senza dubbio influenzati dal realismo magico di Kafka e Gabriel García Márquez. Tuttavia, lo scrittore Yan Lianke nel suo saggio “Alla scoperta del romanzo” (inedito in Italia) sostiene che molte sue opere, quali Pa pa pa (in Italia è stato tradotto da Maria Rita Masci, pubblicato da Theoria e stampato assieme al racconto Il ritorno) abbiano elementi, descrizioni e dettagli tipici del mitorealismo. Che ne pensa di questa affermazione?
Non so bene cosa intenda con mitorealismo. Intende forse realtà + finzione (o immaginazione, esagerazione, magia, elementi surreali)? Non so. Il punto è che la letteratura non è storia, non si tratta di un notiziario, ed è sempre stato così, pur se a vari livelli, no? Insomma, credo che le varie denominazioni lascino un po’ il tempo che trovano.
Secondo lei la cosiddetta “letteratura delle radici” e la “letteratura del suolo natìo” hanno dei punti in comune? Quali potrebbero essere? Il ruolo della natura gioca un ruolo chiave?
La cosiddetta letteratura del suolo natìo in certe istanze si riferisce a quelle opere che si concentrano su prospettive morali e politiche. Il suolo natìo costituisce il palcoscenico e lo sfondo della storia. La “ricerca delle radici”, come la intendo io, è più incarnata in una prospettiva culturale, sottolineando il rapporto dialogico tra culture diverse. Si tratta di una ricerca metaforica. Lo scrittore Wang Zengqi, che purtroppo dal 1997 non è più con noi, era molto favorevole all’idea di “ricerca delle radici”. Nel suo caso, però, scriveva principalmente di argomenti urbani, non necessariamente di suolo natìo e di natura. È anche vero che nel cosiddetto suolo natìo sono preservati molti elementi della culturale tradizionale cinese. Quindi forse il paragone non è poi così azzardato.
Alcuni critici analizzano le sue opere alla luce del Nuovo Storicismo. Che ne pensa di quest’approccio?
Non porgo molta attenzione alla critica. Mi risulta nuovo come approccio.
Lei è originario della provincia dello Hunan. Come me è docente presso la Hunan Normal University. Che cosa rappresenta per lei lo Hunan? Che ruolo svolge nelle sue opere? Quali sono per lei le caratteristiche più evidenti delle persone provenienti dallo Hunan? Attraverso la sua narrativa, quali precipuità della gente dello Hunan vuole trasmettere al mondo?
Se andiamo a ritroso nel tempo e partiamo da Qu Yuan (poeta e patriota cinese dello stato di Chu durante il periodo dei regni combattenti), nel corso degli ultimi duemila anni lo Hunan ha sperimentato diverse scuole di confucianesimo: quella poetica, il neoconfucianesimo, il realismo confuciano, e così via. Non mi dilungo oltre. Sarebbe necessario un tomo di storia della filosofia per spiegare bene questi concetti. Soprattutto nei tempi moderni, vari intellettuali hanno cercato di mettere al centro dei propri interessi il bene dell’umanità intera, enfatizzando l’importanza della pratica e della tenacità di carattere. Queste caratteristiche sono diventate aspetti precipui della cultura cinese. Naturalmente, ogni cultura è un “ibrido”. Allo stesso modo, anche la cultura dello Hunan non ha una sua purezza inalterabile. Potremmo dire che ibridi diversi hanno una componente di mescolanza altrettanto diversa. Lo Hunan ad esempio è un ibrido diverso dal Messico e dalle Filippine. In tutto questo, gli scrittori possono semplicemente aiutare i lettori a capire come viva la gente del posto e come percepisca il mondo.
A quanto pare abbiamo anche un’altro punto in comune. Siamo entrambi traduttori letterari. Lei ha tradotto L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera in cinese, giusto? Che ne pensa di questo libro? Inoltre pensa che la traduzione possa in qualche modo influire sulla creatività e sullo stile degli scrittori? Se così non fosse, che impressione le ha fatto L’insostenibile leggerezza dell’essere? Cosa le ha lasciato?
Sicuramente siamo influenzati sia dalla lettura che dalla traduzione. Tuttavia, nel mio caso, non saprei dire con precisione quale passo o quale opera ne abbia risentito maggiormente. Kundera non è certamente uno scrittore inappuntabile o ineccepibile. Anche lui ha i suoi punti deboli. Ma, per esempio, la sua capacità di elevare una critica politica sul piano della speculazione filosofica merita di essere appresa da molti scrittori cinesi, in particolare quelli che vogliono allontanarsi dalla letteratura politicizzata degli anni ‘80.
Nella sua carriera di scrittore è stato insignito di molte onorificenze, tra cui, nel 1988, si è recato in Francia su invito del Ministero della Cultura, il quale a nome del governo francese le ha consegnato la medaglia dell’ordine delle arti e delle lettere. Un grande onore. Cos’ha provato in quel momento?
Poter condividere la mia esperienza e i miei pensieri con alcuni lettori e per di più riscuotere il plauso di molti mi ha reso senza dubbio molto felice. Sebbene sussistano delle differenze fondamentali tra i lettori occidentali e quelli orientali, vogliasi per motivi linguistici e culturali, ma anche semplicemente per aver vissuto diverse esperienze o per il fatto di trovarsi in un contingente storico diverso gli uni dagli altri, la comunicazione rimane pur sempre possibile. Ecco che il nostro lavoro di traduttori non risulta del tutto privo di senso.
Viviamo in un mondo alquanto caotico. I protagonisti dei romanzi di molti autori contemporanei cinesi, alla mercé di destini avversi e di una natura inesorabile, sembrano ritrovare la speranza nelle cose più semplici e più umane. Secondo lei, qual è l’unica ancora di salvezza per l’uomo?
Durante quest’epidemia, ho guardato un film italiano La meglio gioventù. Mi sono accorto che i protagonisti hanno molti aspetti in comune con la generazione cinese degli anni Sessanta. In Cina sono passati alla storia col nome di lao san jie (ovvero coloro che si sono diplomati dalla scuola secondaria inferiore e superiore dal ’66 al ’68). In Europa ci sono questioni delicate, quali la religione, problemi etnici e il capitalismo, aspetti di cui la popolazione cinese ha probabilmente una conoscenza assai limitata. Anche i cinesi dal canto loro devono fare i conti con questioni delicate, quali la povertà, l’aggressione straniera, il funzionariocentrismo (guan benwei) e la burocrazia. E gli europei, probabilmente, hanno a loro volta una conoscenza superficiale di questi aspetti. Tuttavia, indipendentemente dalle difficoltà che incontra sul proprio cammino, la gente persegue i propri ideali, lotta e cerca di aiutarsi nel bisogno. Ebbene, credo che l’unica ancora di salvezza per l’uomo sia proprio questa: assaporare la vita così come ci si prospetta, sia nei momenti di gioia che di tristezza.
Pensa che i giovani di oggi in Cina siano davvero così superficiali come la società sovente li dipinge? Pensano davvero solo a comprarsi l’ultimo modello del cellulare, vivono davvero in un mondo in cui “mors tua vita mea” come se si trovassero in una versione moderna della corte imperiale cinese? Oppure ci sono tanti giovani che cercano di dar voce al proprio cuore e, nonostante urlino e si sgolino, la società fa orecchie da mercante? Secondo lei, di cosa hanno più bisogno i cinesi al giorno d’oggi? Al di là dei confini della narrativa ufficiale, a cosa anela la gente? Che cosa brama?
Il materialismo, il consumismo, la corsa sfrenata allo sviluppo sono ideologie moderne alquanto superficiali e pericolose. L’umanità dovrebbe prestare maggiore attenzione agli interessi sociali, ecologici e spirituali. Io ormai comincio ad avere una certa età. Non credo che i giovani possano e debbano copiare la generazione precedente. Il futuro è nelle loro mani, dipende da loro. Avranno le loro difficoltà, le loro frustrazioni, le loro esperienze, così come troveranno le soluzioni che ritengono più idonee o più consone ai loro problemi. Ci saranno delle eccellenze (forse poche), così come ci saranno persone mediocri (forse i più). Probabilmente ci saranno anche delle vittime dei tempi (non so quante). Su questo non c’è alcuna ombra di dubbio. Spero solo che siano più fortunati di noi e che non siano in molti a dover immolare la propria vita per il bene dell’umanità.
Prima del 1978, le era stata affibbiata l’etichetta di “giovane istruito”, per cui venne mandato in campagna durante la Rivoluzione Culturale per essere “rieducato dalle masse”. Le va di raccontarci quest’esperienza?
Sì, da giovane fui mandato in campagna per ben sei anni. A parte la povertà e la discriminazione politica, non credo che ci sia qualcosa di sbagliato nel lavoro in campagna. Comprendere la natura e gli strati più bassi del tessuto sociale non può che far bene. Sono sempre stato un po’ diffidente nei confronti della vita facile: quando siamo serviti e riveriti e dormiamo su un letto di piume è come se imboccassimo la scorciatoia più rapida per approdare a una vita mediocre. Pertanto, nel 2000, mi sono costruito una casetta in campagna dove vivo per sei mesi all’anno. Coltivo ortaggi e allevo polli. Partecipo anche alla costruzione di ponti e strade. Quando fa bel tempo coltivo la terra e quando piove leggo. Mi piace molto la vita campestre. Non potrei chiedere di meglio.
Prima di promuovere la corrente letteraria della “ricerca delle radici”, è lecito affermare che le sue opere (scritte prima del 1985) appartengano al filone della “letteratura delle ferite”? Le va di spiegare brevemente ai nostri lettori cosa si intende con “letterature delle ferite”? La sua esperienza di lavoro nei campi l’ha condotta a promuovere questo tipo di letteratura? Ci sono state delle influenze dirette o indirette?
L’esperienza è la risorsa creativa più importante di uno scrittore. Le ferite o il dolore in senso lato sono motivazioni forti per gli autori. Secondo un proverbio dell’antica Cina “l’ingiustizia provoca grida di protesta e il dolore e l’indignazione sono la genesi della poesia”. Tuttavia, proprio come accade con i bambini e gli adulti, quando guardano lo stesso paesaggio, vedono in realtà cose diverse; quando guardano la stessa mappa o usano lo stesso microscopio, dinanzi ai loro occhi si palesano cose ancor più diverse. Ebbene, ciò dimostra che la conoscenza e il pensiero siano limitanti. Per certi versi, sono loro a creare il nostro “sguardo” sul mondo e la nostra “esperienza”. Sono ormai trascorsi una quarantina d’anni. Se riscrivessi la storia di quel periodo, sicuramente la scriverei in modo diverso.
Lei inizia a scrivere già nel 1979, impegnandosi in un primo momento nel genere della narrativa cinese che viene definito “letteratura delle ferite”. Nel 1985 il suo stile subisce dei cambiamenti. Diventa capostipite e teorico della “letteratura delle radici” Secondo lei c’è qualche relazione indiretta tra la letteratura delle ferite e la letteratura delle radici?
C’è stato un tale cambiamento? È difficile rendersene conto quando si è direttamente coinvolti.
Tornando a parlare delle sue opere, la maggior parte dei critici sono concordi nel definire A Dictionary of Maqiao il suo romanzo più rappresentativo. Eppure spesso gli scrittori la pensano in modo diverso rispetto alla critica letteraria. Nella sua carriera trentennale, qual è il libro di cui è più soddisfatto? Perché?
Per gli scrittori, i libri sono come figli. Si vuole bene a tutti allo stesso modo, grassi, magri, belli, brutti che siano. Posso solo dire quali libri siano stati più influenti con un maggior numero di traduzioni all’estero. Nella fattispecie, fino ad oggi si tratta di Pa pa pa (pubblicato in Italia da Theoria nella traduzione di Maria Rita Masci), A Dictionary of Maqiao, South to the Mountains and North to the Waters (Nan Shan Shui Bei), Epilogue of the Revolution (Geming Houji), e Modification (Xiugai Guocheng).
A tutti coloro che vorrebbero cominciare a leggere le sue opere o avvicinarsi alla sua produzione letteraria, da quale libro possono iniziare? Qual è il suo consiglio?
Vi consiglio di non perdere tempo a leggere i miei libri. Rivolgete la vostra attenzione altrove. In Cina ci sono tanti scrittori con una capacità narrativa eccelsa che meritano davvero di essere approfonditi.
*Riccardo Moratto è sinologo e professore associato presso la Hunan Normal University.
[Pubblicato su il manifesto]