Più di mille residenti della contea di Boluo nel Guangdong protestano contro la costruzione di un inceneritore. Quasi la metà dei cinesi ricchi hanno in programma di trasferirsi all’estero nei prossimi anni. I dubbi sul tasso di crescita della Cina per quest’anno. Esperimento di insediamento in stile kibbutz ebraico in Xinjiang. Ammoniaca nell’aria delle metropoli cinesi. NO ALL’INCENERITORE
Oltre mille residenti della contea di Boluo, nel Guangdong, stanno protestando contro il progetto di un inceneritore e di una discarica. La polizia ha già arrestato 24 persone e ha dato ai manifestanti tre giorni di tempo per disperdersi. Le autorità locali dichiarano che il piano è stato reso pubblico da circa un mese e che l’operazione trasparenza serve proprio a tranquillizzare gli abitanti della contea. Da parte loro, i manifestanti temono l’inquinamento dell’acqua – la discarica dovrebbe sorgere di fianco fiume che rifornisce la zona – e dell’aria.
Le proteste di Boluo rappresentano una tendenza in crescita in Cina: quella delle lotte per la qualità della vita, che sono soprattutto espressione del nuovo ceto medio.
RICCHI CHE SCAPPANO
Quasi la metà dei cinesi ricchi progetta di trasferirsi all’estero entro i prossimi cinque anni, secondo una ricerca Barclays. Il fenomeno è noto da tempo e non riguarda solo i businessmen, bensì anche il Partito, con i cosiddetti “funzionari nudi”, che rimangono in patria a lavorare mentre trasferiscono famiglie e – soprattutto – conti correnti, oltre confine. La domanda è: temono la campagna anticorruzione di Xi Jinping o subodorano qualcosa sul futuro dell’economia cinese? Un’ipotesi non esclude l’altra.
L’indagine Barclays, basata su interviste a più di 2.000 individui per un patrimonio netto totale di 1,5 miliardi di dollari, rivela che il 47 per cento del campione intende trasferirsi, a fronte di una media mondiale del 29 per cento. I potenziali emigrati di lusso citano come motivazioni le migliori opportunità educative e occupazionali per i figli (78 per cento), la sicurezza economica e il clima desiderabile (73 per cento), assistenza sanitaria e servizi sociali migliori (18 per cento). Hong Kong è la principale destinazione (30 per cento), seguita dal Canada (23 per cento).
ECONOMIA: PARERI CONTRASTANTI
Il calo della produzione industriale, del consumo di energia, del credito e dei prezzi immobiliari che si è verificato negli ultimi mesi induce molti osservatori a dibattere: la Cina ce la farà a mantenere l’obiettivo di crescita del 7,5 per cento previsto per quest’anno? Più in generale, l’economia cinese gode di buona salute o si va verso un credit crunch simile a quello che colpì l’Occidente nel 2008/09? I pareri si dividono: per qualcuno, il governo di Pechino deve assolutamente lanciare un pacchetto di stimoli per evitare che il sistema si blocchi; per altri, si tratta di un semplice riaggiustamento che indica come l’economia cinese stia invece cambiando e diventando più evoluta.
IL “KIBBUTZ” CINESE
In una zona rurale-desertica presso la città di Hotan, in quella parte dello Xinjiang meridionale dove la componente uiguro-islamica è più numerosa (95 per cento) e lo sviluppo economico ancora deficitario, si sta sperimentando un insediamento pilota “multietnico” per per favorire gli scambi culturali e combattere il terrorismo. Occuperà circa 450 ettari e consisterà in 600 appartamenti residenziali e 600 serre: a ogni famiglia sarà assegnata una casa a corte, una serra e un frutteto di 0,33 ettari. Sarebbero all’esame le domande di migliaia di famiglie, soprattutto uigure ma anche han.
Il nuovo “kibbutz secondo caratteristiche cinesi” o “arcadia” che dir si voglia suscita interesse e dubbi. La Cina funziona secondo un modello sperimentale “dal punto alla superficie”: la leadership delinea una politica generale e, da quel momento, diversi esperimenti locali concorrono per metterla in pratica e divenire “esperienze modello”, tra le quali verranno scelte poi le più efficaci (o la più efficace) affinché faccia da standard per una nuova fase di sviluppo.
AMMONIACA NELL’ARIA
Finora, gli sforzi anti-inquinamento delle autorità cinesi si sono concentrati sulla riduzione della dipendenza dal carbone. Adesso arriva l’allarme ammoniaca, che sarebbe prodotta soprattutto dagli allevamenti di polli, dai fertilizzanti e dal settore auto. Secondo la rivista economica Caixin, l’ammoniaca costituisce talvolta oltre il 50 per cento delle cosiddette PM 2.5, le microparticelle che si depositano nei polmoni e causano danni irreversibili, e crea un mix micidiale con le emissioni dovute al carbone. Finora, il problema sarebbe stato sottovalutato per la mancanza di dati scientifici.
[Foto credit: scmp.com]