L’India ha lanciato la sua prima missione spaziale verso il pianeta rosso oggi alle 10:08 ora italiana. La sinistra in Corea del Sud, almeno il piccolo Partito progressista unificato, rischia di essere messa al bando. In Bangladesh condanna a morte di massa per alcuni paramilitari responsabili di un’insurrezione del 2009.
INDIA – Marte, la nuova frontiera
L’India fa rotta verso Marte. Alle 10:08 ora italiana è partita oggi dal centro spaziale di Satish Dhawan la prima missione spaziale indiana verso il pianeta rosso.
Trascorsi 45 minuti dal lancio la Mars Orbiter Mission ha raggiunto l’orbita terrestre, dove rimarrà fino al primo dicembre per poi essere lanciata verso l’orbita marziana dove, se il calendario sarà rispettato arriverà a settembre del 2014 dopo un viaggio di 300 giorni.
L’India è la sesta potenza a lanciare una missione diretta alla volta di Marte. Prima di Delhi erano stati gli Usa, la Russia, l’Unione europea, la Cina e il Giappone, con soltanto le prime tre capaci di raggiungere l’obiettivo. Su 51 missioni finora condotte, occorre ricordare che meno della metà sono andate a buon fine.
Se nel prossimo autunno la Mangalyann, ossia il veicolo per Marte, come è chiamata informalmente la missione, riuscirà a raggiungere il traguardo, sarà la prima potenza asiatica a farlo, considerati i fallimenti giapponese e cinese, quest’ultimo alla fine del 2011, pochi mesi prima che Delhi annunciasse il suo progetto di raggiungere il pianeta rossa. La missione rappresenta inoltre un successo per il programma spaziale a basso costo dell’India.
La missione è costata 72 milioni di dollari, appena una parte dei 671 milioni dell’analoga missione Nasa, il cui lancio è previsto per metà novembre. Sul piano scientifico le attrezzature di monitoraggio a bordo dovranno studiare la presenza di tracce di metano nell’atmosfera marziana, segno della ipotesi che sul pianete possano esserci forme di vita.
Se si prende in considerazione l’atmosfera terrestre, il metano è prodotto al 95 per cento dall’attività di microbi. Tuttavia la presenza del gas può essere dovuta anche all’attività geologica.
BANGLADESH – Condanna di massa ai jawan della rivolta del 2009
Un tribunale di Dakha ha oggi condannato a morte più di 150 paramilitari per diserzione e altri circa 161 all’ergastolo per i fatti di Pilkhana del febbraio 2009.
Proprio qui oltre quattro anni fa, ha avuto luogo una violenta protesta di centinaia di jawan (membri del personale paramilitare) incaricati di sorvegliare le frontiere che chiedevano un miglior trattamento salariale. Negli scontri persero la vita oltre 74, 57 dei quali erano militari dell’esercito regolare del Bangladesh.
Nel corso degli ultimi anni il caso è stato a lungo discusso, scrive il quotidiano Daily Star. Inizialmente infatti l’opinione pubblica era a favore della protesta dei paramilitari. Tuttavia, sono emersi elementi che hanno configurato il gesto per la sua brutalità: i corpi dei militari uccisi nel corso dell’insurrezione sono stati gettati in canali di scolo e fosse comuni e provviste e munizioni saccheggiate.
Il caso svelò diversi nervi scoperti tra l’esercito e il governo – in particolare nella persona del primo ministro Sheikh Hasina – che preferì avviare un dialogo con gli insorti. Nonostante le critiche delle ong umanitarie, il verdetto non sarebbe potuto essere diverso, scrive la Bbc.
Un verdetto a favore dei ribelli avrebbe provocato infatti proteste veementi da parte dell’esercito e non sarebbe stato "di lezione" per chiunque volesse insorgere in futuro.
COREA DEL SUD – sinistra al bando
La sinistra rischia di essere messa al bando in Corea del Sud. Il governo di Seul ha intenzione di presentare richiesta alla Corte suprema affinché dichiari ineleggibili i membri del piccolo Partito progressista unificato, impedendo loro di partecipare al voto perché sostenitori della Corea del Nord.
L’Upp è la forza più a sinistra dell’arco parlamentare sudcoreano. Negli scorsi mesi è stato travolto dall’arresto di un suo deputato Lee Seok-ki, accusato di complotto e di voler organizzare attentati per favorire il regime di Pyongyang in caso di conflitto tra le due Coree.
Le accuse mosse contro il parlamentare non si sentivano dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando il paese era ancora sotto il regime militare. Contro il partito, al cui interno non sono mancanti i dibattiti su come rapportarsi alla Corea del Nord e sulla necessità di denunciare le violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime, pesa la legge sulla sicurezza nazionale, che impedisce forme di sostegno e propaganda filo-nordcoreana.
Non bisogna infatti dimenticare che le due Coree sono ancora tecnicamente in guerra non essendo mai stato firmato un trattato di pace che ponga fine anche formalmente al conflitto degli anni Cinquanta.
Per i critici, il caso dell’Upp crea inoltre un legame storico tra l’attuale presidenza di Park Geun-hye e il governo autoritario del padre, Park Chun-hee, durante i quali furono soppresse le garanzie democratiche in nome della lotta anti-comunista e della modernizzazione del paese.
[Foto credits: indianexpress.com]