Cosa sarebbe accaduto se durante Tian’anmen ogni manifestante avesse avuto uno smartphone? Domanda interessante, che permette di indagare un aspetto particolare di quanto sta accadendo ad Hong Kong. Il movimento Occupy ha saputo utilizzare alla perfezione i nuovi media. La censura di Pechino è stata più ampia che in altri casi, ma di fatto diretta solo a una minoranza di cinesi.
«Sentite il popolo cantare?». Strofe della canzone de Les Miserables (video), divenuto l’inno delle proteste di Hong Kong. Basterebbe già questo a tracciare un solco profondo tra Tian’anmen nel 1989 e le odierne manifestazioni di Hong Kong. Allora, in una Pechino molto diversa da oggi, gli studenti cantavano l’Internazionale.
Erigevano statue della libertà, proclamavano scioperi della fame e andavano a incontrare i dirigenti del Partito comunista in pigiama, direttamente dall’ospedale dove erano ricoverati. A Hong Kong è un’altra storia, è una protesta dei giorni d’oggi, durante la quale si alzano tutti i cellulari al cielo per consetire ai fotoreporter di cogliere l’immagine simbolo della protesta.
The Verge si è chiesto: cosa sarebbe accaduto se in Tian’anmen ogni manifestante avesse avuto uno smartphone? Domanda interessante, che permette di indagare un aspetto particolare di quanto sta accadendo ad Hong Kong. Innanzitutto: l’ex colonia britannica è da considerarsi territorio cinese, ma essendo regolata dalla teoria «un paese due sistemi», nell’isola l’internet è completamente libero. Oltre a barlumi di liberal democrazia, gli abitanti di Hong Kong, rispetto ai cinesi, godono di una rete libera.
Gli attivisti di Hong Kong da tempo usano i social network per portare a conoscenza le proprie lotte. Anni fa, appena giunto nell’ex colonia britannica, fui in grado di intervistare parecchi di loro, proprio dopo averli contattati su Twitter. Arrivando dalla Cina continentale, la sensazione che Hong Kong regala è un’immediata idea di libertà, per chi vuole usare la rete. Non c’è necessità di vpn, la rete è una scheggia e quasi imbarazza rispetto alla lentezza che si subisce, appena qualche chilometro più in là.
E il movimento Occupy ha saputo utilizzare alla perfezione i nuovi media. Stamattina, uno dei gruppi che fanno parte del più generale movimento di Occupy, mi ha inviato un DM (un direct message) su Twitter, in italiano: «Se vuoi intervistare qualcuno dei nostri, mandaci un messaggio».
E i social network, come già in altre occasioni, hanno contribuito alla diffusione di immagini, di istanze, di rivendicazioni. Su Twitter abbiamo letto comunicati, su Facebook sono state postate le foto delle aggressioni della polizia.
In tutto questo però c’è un limite evidente: i tweet, i post, sono messaggi istantanei, in real time, che rischiano di confondere la situazione, senza un adeguato contesto. Ecco dunque che insieme agli «uffici stampa» della protesta, è sempre necessario ritagliare le informazioni e applicarle alla realtà nella quale avvengono. Altrimenti si rischia di capirci poco, o peggio di non capire affatto quanto accade.
Le moltissime informazioni provenienti da Hong Kong, hanno fatto impallidare l’altro lato della medaglia. Come si è organizzata, infatti, Pechino di fronte a queste proteste, così potenti nella loro diffusione in rete? Per i censori sono state giornate durissime.
Come prima cosa si è provveduto a non parlare di quanto stesse accadendo ad Hong Kong sui media tradizionali. Televisioni e radio: zero. Ma naturalmente il web ha mille possibilità di sfuggire di mano e come prima azione è stato bloccato l’unico social ancora disponibile in Cina, Instagram.
Ma non solo: su Weibo, il Twitter cinese controllato dal governo, si è provveduto a censurare ogni parola che potesse ricordare le proteste, tanto Hong Kong, in mandarino, quanto le parole studenti, proteste, eccetera.
E nella serata di ieri alcuni giornalisti del South China Morning Post e alcuni attivisti di Hong Kong, hanno detto che i loro account su Sina Weibo erano stati bloccati. Niente di più facile. Questa scure censoria di Pechino, però, appare molto irruenta come al solito, ma è diretta soprattutto a quella minoranza di persone che segue quanto accade all’estero.
Nei commenti dei pochi articoli comparsi sulle vicende di Hong Kong sui media statali, infatti, i commenti degli utenti sono violenti e quasi tutti contrari a quanto accade a Hong Kong. Del resto, così come gli abitanti dell’ex colonia considerano i cinesi, rozzi, maleducati, definendoli «cavallette», il sentimento è ampiamente ricambiato dai cinesi.
[Scritto per Wired; Foto credits: billboard.com]