Incapace di risolvere la disputa commerciale con la Cina, il presidente americano Donald Trump concentra la sua attenzione sui social network cinesi, sempre più utilizzati dagli utenti statunitensi. L’inquilino della Casa Bianca, nella tarda serata di giovedì, ha firmato due ordini esecutivi con cui impone restrizioni alle due popolari app «made in China»: Tik Tok, il social dei brevi video, e WeChat, equivalente a Whatsapp, Facebook, ma utilizzata anche per effettuare pagamenti elettronici.
CITANDO LA MINACCIA alla sicurezza nazionale, alla politica estera e all’economia degli Stati uniti, l’amministrazione Trump impone il blocco di qualsiasi transazione con le due applicazioni – rispettivamente di proprietà delle case madri ByteDance e Tencent – da parte di persone o entità soggette a giurisdizione statunitense. Il bando scatterebbe il 20 settembre, termine che potrebbe essere annullato se la vendita delle attività americane di Tik Tok si realizzerà con il gigante dell’informatica Microsoft o con altre società americane. Non sono chiare le misure che saranno adottate allo scadere dei 45 giorni concessi da Trump, ma anche il semplice download delle due applicazioni potrebbe essere complicato per i cinesi negli Stati uniti che le utilizzano per comunicare con parenti e amici in Cina.
ALLA BASE DEL DECRETO restrittivo vi è l’idea che Tik Tok, nota anche con il nome di Douyin, acquisisca automaticamente informazioni degli utenti, comprese quelle relative alla posizione e alle ricerche su internet, oltre a operare una campagna di disinformazione su larga scala per gli interessi del governo cinese. Accuse sempre respinte da Tik Tok che, con un comunicato rilasciato subito dopo la decisione degli Usa, ha ribadito di non aver mai condiviso alcun dato con Pechino, né censurato contenuti su richiesta del regime. Inoltre, sottolineando l’infondatezza della minaccia alla sicurezza statunitense, l’impresa di Shenzhen è persino intenzionata a intraprendere vie legali nell’interesse degli oltre 100 milioni di utenti americani e per la tutela dello stato di diritto.
Nel frattempo l’app cinese, intimorita dalla balcanizzazione tecnologica, aprirà il suo primo data center in Irlanda: un progetto del valore di 500 milioni di dollari per tranquillizzare i governi europei.
L’AMMINISTRAZIONE americana gioca con le carte utilizzate da decenni dal Partito comunista cinese. Con il divieto ai due principali canali di comunicazione del Dragone, in cui si muovono con pubblicità e investimenti commerciali anche diverse imprese statunitensi, tra cui quelle del gaming, gli Stati uniti pongono le basi per un sistema di controllo simile al Great Firewall cinese, la macchina censoria che rende irraggiungibili i big occidentali del web.
IL SEGRETARIO DI STATO Mike Pompeo vuole avviare un programma denominato «Clean Network» diviso in cinque aree principali, in cui sono presenti misure necessarie per impedire alle diverse app cinesi e alle controverse società di telecomunicazione – come Huawei e Zte – di accedere ai dati di cittadini e imprese statunitensi. Ma il Dipartimento di Stato va oltre e cerca di vietare l’installazione di Tik Tok sugli smartphone dei funzionari federali, con un disegno di legge che, se approvato, garantirà la tutela di informazioni sensibili.
Il governo cinese non rimane a guardare e accusa gli Stati uniti di manipolazione e repressione politica, garantendo una dura reazione, con misure simili a quelle adottate nella guerra dei dazi. Un altro match è iniziato e questa volta i due giganti si misurano sul ring dei social network.
[Pubblicato su il manifesto]Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.