Come ogni anno, con l’estate si ripresentano le tensioni in Xinjiang. La polizia ieri ha aperto il fuoco su alcuni manifestanti. Ventisette i morti, di cui dieci identificati come "terroristi". L’attenzione generale ritorna così sulla questione ancora irrisolta della "Nuova frontiera" e sulle politiche di "integrazione" della Cina. Come ogni anno in estate, in Xinjiang – una delle regioni più occidentali della Cina assimilabili per storia, cultura, lingua e tradizioni ai vari Stan centroasiatici – esplode la violenza. Ieri la polizia ha aperto il fuoco quando un gruppo di persone, armate di coltelli, ha assalito la stazione locale di polizia. Secondo quanto riporta Xinhua, l’agenzia di stampa governativa, il bilancio è di 27 morti.
Bisogna notare che questa volta i media statali sono stati rapidi a dare la notizia. In genere lasciano passare qualche giorno, in modo da far abbassare il livello di tensione e di definire la versione ufficiale. Questa volta la notizia è stata diffusa il giorno stesso, anche se ad oggi nessun reporter occidentale si è recato sul posto a verificare l’attendibilità della ricostruzione.
Questa volta gli scontri sono avvenuti nel villaggio di Lukqun, 30mila abitanti di cui il 90 per cento uiguri che si trova circa 200 km a sud est della capitale della regione, Urumqi. Secondo il resoconto ufficiale i funzionari locali avrebbero aperto il fuoco dopo che i rivoltosi (non è dato sapere per quale motivo) hanno cominciato ad accoltellare persone e ad appiccare duoco alle macchine della polizia. 17 persone, tra cui 9 funzionari e 8 civili, sarebbero morte prima che la polizia aprisse il fuoco uccidendo 10 “terroristi”. Almeno tre feriti sarebbero stati trasportati d’urgenza all’ospedale. Il comunicato ufficiale non fa alcuna menzione al gruppo etnico delle persone coinvolte.
Secondo un funzionario locale che ha parlato al Global Times sotto condizione di anonimato, gli scontri avrebbero avuto inizio alle sei del mattino e grossi contingenti di forze dell’ordine stanno convogliando sul posto dalle aree limitrofe. Il quotidiano di Hong Kong Takungpao riporta oggi sul sito che il villaggio in questione è stato completamente circondato dalla forze dell’ordine armate.
È da notare anche che l’incidente avviene qualche giorno prima del quarto anniversario degli incidenti del 2009 quando ad Urumqi 197 persone rimasero uccise e oltre 1600 ferite. Secondo quanto riportato dalla Bbc la popolazione locale avrebbe iniziato a ribellarsi perché costretti dai funzionari locali a tagliarsi le barbe e a dismettere il velo. Sicuramente l’approssimarsi del Ramadan, il mese che i musulmani votano al digiuno diurno e che quest’anno è previsto cominciare il 9 luglio, ha contribuito a inasprire gli animi. L’ultimo incidente in ordine di tempo di cui si è avuto notizia risale ad aprile scorso, quando 21 persone sono morte negli incidenti avvenuti nella città di Kashgar.
Lo Xinjiang è una regione nordoccidentale della Cina per gran parte costituita da deserti che ospita circa 20 milioni di abitanti. Se fino agli anni Ottanta gli uiguri – la popolazione locale che ha lingua e caratteristiche somatiche turche e per lo più è di religione musulmana – costituivano oltre l’80 per cento della popolazione, oggi sono scesi a meno del 40 per cento. La chiamano “sommersione etnica” ed è la politica messa in atto da Pechino per favorire l’”integrazione” di aree a forte velleità indipendentista come il Tibet e lo Xinjiang. Ma di fatto è la politica che ha acceso una forte resitenza nelle popolazioni locali che sentono le loro tradizioni messe a rischio dalla sempre maggiore presenza dei migranti han, che per altro occupano i gradini più alti della scala sociale.
La regione dello Xinjiang, inoltre, è ricca di risorse naturali come gas e petrolio e diventerà presto uno dei principali fornitori di carbone per soddisfare la sete sempre maggiore di energia dello sviluppo cinese. E i cinesi che vi si trasferiscono mirano a beneficiare dell’indotto che le risorse locali produrranno. Ma il rapporto con il governo centrale è sempre stato complicato.
Xinjiang in cinese vuol dire Nuova Frontiera. Siamo a 3200 chilometri da Pechino che estese il suo impero fin qui la prima volta nel II secolo d.C. Era il luogo dove passava la famosa via della seta, principale rotta commerciale tra oriente e occidente dell’antichità. Da allora la sua storia è stato un susseguirsi di regni indipendenti e di dominazione cinese. L’ultima volta fu conquistato nel 1949 dall’esercito di Mao Zedong. Da allora gli uiguri sono anche ricorsi al terrorismo, cosa che dal 2001 accade sempre più frequentemente.
[Scritto per Lettera43; foto credits: latimes.com]