Fine aprile di grandi manovre diplomatiche relative all’Asia e non solo, perché l’Europa sarà grande protagonista. Domani, 25 aprile, a Vladivostok ci sarà un appuntamento «storico» e del tutto asiatico: Kim Jong-un e Vladimir Putin si incontreranno per la prima volta.
L’EVENTO COSTITUISCE un appuntamento decisamente rilevante considerando l’attuale situazione delle relazioni tra Corea del Nord e Stati uniti. Mosca, inoltre, da tempo esercita un’attenzione tutta particolare a Pyongyang, essendosi già data disponibile sia a supportare la Cina nel ruolo di mediazione con Trump, sia, soprattutto, promettendo aiuti e sostegno in caso di possibili «aperture» da parte di Kim Jong-un a investimenti stranieri; a questo proposito il Cremlino di recente ha ricordato i circa 9mila lavoratori nord coreani in Russia (e le loro rimesse in patria). Putin ha visto nella «carta Kim» un valido strumento per riproporsi anche sullo scacchiere asiatico reso particolamente asfittico, in termini di spazi possibili, dall’iper attivismo cinese.
Cosa potrebbe chiedere Kim a Putin, in questo momento delicato, dopo che Pyongyang ha chiesto agli Usa di non avere più come mediatore Pompeo e mentre latita ogni soluzione e successivi passi per quanto riguarda la de-nuclearizzazione? Innanzitutto l’incontro costituisce già una prima risposta: oggi Pyongyang vuole evitare l’isolamento e ha compreso che per ovviare alle sanzioni non basta la sola Cina.
MA LA GIRANDOLA DIPLOMATICA non finisce con questo summit: da ieri infatti il premier giapponese Shinzo Abe è in Italia all’interno di un viaggio tra Francia, Italia, Belgio e Slovacchia (poi sarà negli Usa e in Canada). Abe ricorderà a Roma l’importante accordo commerciale (il Jefta) concluso tra Ue e Tokyo a febbraio scorso, ben prima dell’innamoramento più giallo che verde per Pechino.
Abe, che ha aperto a lavoratori stranieri il paese, anche per fare fronte all’invecchiamento della popolazione, sta facendo della «mediazione» in diplomazia il suo sigillo sui tempi: moderato, rispetto al passato, sta cercando un difficile equilibrio tra Stati uniti (sempre più disimpegnati dall’Asia) e Cina, di cui cerca anche di essere una possibile sponda per la nuova via della seta. Ma non disdegna di infilarsi negli interstizi di cui riconosce l’utilità: la Slovacchia, così come altri paesi dell’Europa orientale (la Polonia, ad esempio) sono visti come possibile luoghi di delocalizzazione (in ottica post-Brexit) considerando il loro rapporto non eccellente con la Cina.
QUANTO ALL’ITALIA, dopo l’incontro con Abe per il premier Giuseppe Conte si preannuncia un nuovo viaggio in Cina. Sarà breve, anzi brevissimo (in pratica 24 ore, meno delle «famose» 36 ore trascorse tempo fa dall’allora primo ministro Matteo Renzi) e soprattutto in solitaria. Conte parteciperà al secondo forum sulla nuova via della seta organizzato da Pechino (al primo era andato Paolo Gentiloni, a segnare un interesse nei confronti della Cina che non è certo nato con questo governo) ma ci parteciperà sostanzialmente da solo: all’interno di un evento che vedrà anche firme pesanti (come quella della Svizzera riguardo il memorandum of understanding) pare che il nostro premier non sarà accompagnato dalla consueta comitiva di dirigenti d’azienda e, soprattutto, pare che non ci sarà alcun seguito, in termini di firme, alla visita di Xi Jinping in Italia del marzo scorso.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.