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Non solo petrolio: cosa cerca la Cina in Medio Oriente

In Cina, Relazioni Internazionali by Agnese Ranaldi

Il rafforzamento della cooperazione con i paesi del Medio oriente va di pari passo con altre due dinamiche contestuali: il cambio della strategia cinese in Africa, e la ritirata statunitense dall’Asia centro-occidentale. Dalla nostra newsletter domenicale. Scopri come diventare sottoscrittore.
Durante il mese di gennaio, la Cina ha tenuto incontri con i rappresentanti di alcuni governi del Medio oriente, tra cui Arabia Saudita, Kuwait, Turchia, Iran, Bahrein e Oman, oltre al segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo. Le parti hanno discusso la ripresa di uno storico accordo di libero scambio, i cui colloqui sono iniziati nel 2004, ma che non è mai stato siglato. L’inasprirsi delle relazioni tra Arabia Saudita, Emirati e Bahrein con il Qatar nel 2016 ha portato al naufragio del progetto. La Cina sembra non solo intenzionata a investire nuovamente nell’accordo, ma anche a rafforzare la cooperazione con i paesi dell’area per lavorare alla stabilità regionale, assicurarsi l’approvvigionamento energetico e portare avanti i suoi interessi economici e geostrategici.

Quali interessi attraggono Pechino in Medio oriente?

  • La natura degli interessi cinesi nella regione è principalmente economica: Pechino, acquista quasi la metà del suo greggio dagli stati arabi: nel 2020 il valore delle importazioni di petrolio dal Medio oriente ammontava a 250 milioni di tonnellate.
  • Nel 2020, la Cina è stata il principale partner commerciale della regione, con un volume totale di scambi di 272,63 miliardi di dollari. Pechino ha importato principalmente petrolio e ha esportato 144 miliardi di dollari di macchinari, attrezzature, automobili, oltre ad altri prodotti.
  • La cooperazione con la regione si inserisce nell’alveo della strategia di sviluppo globale promossa dal presidente cinese Xi Jinping a partire dal 2013: la Belt and Road Initiative. Si tratta di un programma di investimenti, che ha attecchito particolarmente nelle regioni in cui è presente una domanda di infrastrutture: Africa e Asia. In particolare, l’Asia centro-occidentale rappresenta un hub di inestimabile valore per Pechino, e per questo motivo, solo nei primi tre anni della BRI, gli investimenti cinesi sono passati dai 300 milioni del 2014 agli  8,8 miliardi di dollari del 2017 – aumentando dieci volte per valore nel solo tra il 2014 e il 2015.

Prospettive geopolitiche

Il rafforzamento della cooperazione con i paesi del Medio oriente va di pari passo con altre due dinamiche contestuali: il cambio dellla strategia cinese in Africa, e la ritirata statunitense dall’Asia centro-occidentale.

  • Gli ingenti investimenti dedicati ai paesi del continente africano hanno creato una situazione insostenibile per i governi nazionali, su cui pesa la spada di Damocle del debito . I finanziamenti alle infrastrutture, che avevano promesso più posti di lavoro e maggiore diffusione di benessere tra le popolazioni locali, non hanno creato i benefici auspicati, e hanno finito per lasciare le autorità dei governi africani di fronte al pericolo dell’insolvenza. D’altro canto, le nazioni del Medio oriente con cui si è confrontata Pechino nelle ultime settimane sono molto più stabili finanziariamente delle economie africane, e non hanno bisogno di chiedere prestiti così ingenti alla Cina per sostenere la crescita interna. Si tratta perciò di partner potenzialmente più interessanti per il governo cinese, che è impegnato a promuovere la retorica di una “cooperazione win-win” a livello internazionale.
  • La ritirata statunitense dal Medio Oriente è un altro elemento che contribuisce a rafforzare la posizione di Pechino nella regione. Affaticata da decenni di occupazione in Afghanistan, ingenti spese militari e investimenti economici, oltre che diplomatici, Washington sembra intenzionata a limitare il suo coinvolgimento nella regione. Benché la Cina non possa essere paragonata agli Stati Uniti, spesso viene vista come un’alternativa a Washington per ottenere finanziamenti infrastrutturali e per cooperare su tecnologia e sicurezza.
Benefici economici e dividendi politiciOltre agli interessi squisitamente commerciali, lo sforzo diplomatico di Pechino le è valso anche il sostegno politico da parte di molti paesi dell’area, rimasti silenti di fronte alle rivendicazioni cinesi su Hong Kong e all’incremento dell’assertività nei confronti di Taiwan.
La relazione con l’Arabia Saudita è particolarmente emblematica, essendo un alleato di vecchia data degli Stati Uniti. Durante l’incontro virtuale tra il ministro della Difesa cinese e il vice-capo della difesa saudita, la Cina ha encomiato il “forte sostegno” di Riad alle sue politiche nelle regioni rivendicate come parte integrante del territorio cinese (Hong Kong e Taiwan) ma anche di quelle nella provincia dello Xinjiang, definite dagli USA e da gran parte dei paesi occidentali come violazioni dei diritti umani nei confronti della comunità islamica locale. Durante la videocall con il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan al Saud, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha definito i due paesi “buoni amici, buoni partner e buoni fratelli”.Cosa cerca la Cina in Medio Oriente?L’interesse di Pechino per il Medio Oriente può essere quindi cosi spiegato:
  • Innanzitutto, è prioritario per il governo cinese assicurarsi l’approvvigionamento energetico sufficiente a soddisfare l’imponente domanda interna di petrolio. Nonostante la politica declaratoria delle autorità nazionali presenti la Cina come un campione della lotta al cambiamento climatico, il presidente Xi Jinping ha spesso sottolineato come lo stadio di sviluppo del paese non sia ancora tale da consentire il passaggio immediato a fonti di energia sostenibile.
  • Considerazioni geostrategiche hanno convinto il governo di Pechino che la contingenza storica le è propizia per affermarsi come attore di primo piano nell’ Asia centro-occidentale. La Cina ha potuto facilmente contare sul fattore esogeno della ritirata statunitense dalla regione per rafforzare la sua posizione di alternativa al modello di cooperazione e sviluppo promosso da Washington.
  • Infine, c’è una questione legata alle priorità di politica interna. Le relazioni con alcune nazioni del Medio Oriente si sono dimostrate utili anche in termini di sostegno alla posizione di Pechino nei confronti di tutti quei territori su cui rivendica controllo diretto: primi fra tutti Hong Kong, Taiwan e Xinjiang. Si tratta di un appoggio internazionale di inestimabile valore per il Partito comunista cinese: in un periodo di isolamento internazionale come quello attuale sapere di avere degli alleati in Medio Oriente può essere funzionale anche alla stabilità interna del regime.