Dopo due giorni di violente proteste i cittadini di Shifang hanno bloccato la costruzione di un’industria chimica. L’impianto era stato approvato alla fine della scorsa settimana, ma molti ritenevano l’industria cancerogena e temevano per l’ambiente. Gli utenti di Weibo simpatizzano con la piazza. Nella città di Shifang, nella Cina centrale, si è recentemente svolta una protesta che ha visto decine di migliaia di persone scendere in piazza.
A scatenare la rabbia dei locali sono stati i piani per la costruzione di una nuova industria chimica che promette di peggiorare la già precaria situazione ambientale della zona. L’intervento della polizia in assetto antisommossa ha poi causato diversi feriti.
Secondo la versione presentata dal South China Morning Post, domenica primo giugno una folla di persone ha circondato la sede della Sichuan Hongda, l’azienda shanghainese che dovrebbe costruire un impianto da 10.4 miliardi di yuan (circa 1 miliardo e trecento milioni di euro) per la produzione di rame molibdeno.
Una lettera di petizione circolata nella giornata di domenica sosteneva che la città di Shifang “ha già un tasso di incidenza del cancro più alto delle aree circostanti” e l’impianto non farebbe che peggiorare la situazione, perché “cancerogeno”.
Un post circolato online sosteneva addirittura che l’inquinamento causato dall’impianto sarebbe stato peggiore di quello causato dalla crisi nucleare di Fukushima.
Ma Jun, direttore dell’Istituto per gli affari pubblici e ambientali, ha accusato il governo di aver reso pubblica solo "una versione ridotta del rapporto ambientale sull’impianto che non contiene informazioni sui rifiuti solidi e sulle acque di scarto".
Secondo una nota resa pubblica dall’amministrazione locale, “alcune persone avevano presentato una petizione al governo della città fin dalla cerimonia durante la quale era stato firmato il progetto sabato”.
Domenica, non avendo ottenuto delle risposte concrete, centinaia di residenti sono scesi in strada e la protesta è ben presto diventata violenta. La folla inferocita sarebbe entrata nella sede del governo locale facendo a pezzi finestre e lanciando oggetti.
Secondo quanto dichiarato da una testimone, “oltre dieci camion della polizia sono stati inviati sul logo e si diceva che le autorità stessero per mandare più forze dell’ordine a Shifang”.
“Molti manifestanti, dai ragazzini agli anziani, sono stati feriti a causa dei lacrimogeni lanciati dalla polizia” ha continuato la donna.
Stando a quanto pubblicato sui social media cinesi, a mezzanotte di lunedì la folla non si era ancora dispersa e la polizia continuava a lanciare gas.
Le autorità della città hanno dichiarato che “durante gli scontri 13 persone sono state ferite dai lacrimogeni usati dalla polizia per cacciare la folla dai palazzi del governo e dalle strade”. I manifestanti non sono d’accordo: per loro i feriti sarebbero stati molti di più.
Non è una novità che la Cina soffra di severe problematiche ambientali. L’inquinamento della capitale è un fattore di costante discussione per la comunità di internazionale della città, e alimenta anche il dibattito politico fra Washington e Pechino, che puntualmente duellano sui dati.
Nel frattempo il paese è soggetto a un crescente deterioramento delle condizioni ambientali generali. E fra la gente comune cresce la preoccupazione, che a volte si trasforma in ribellione.
Quella di domenica è stata una delle più intense proteste ambientali “da quando decine di migliaia di persone scesero in piazza a Dalian, nella regione del Liaoning, verso la fine dell’anno scorso”.
In quel caso, circa 12mila cittadini locali chiesero alle autorità di spostare un’impianto petrolchimico. Le proteste furono però molto più pacifiche di quelle scoppiate nell’ultimo fine settimana.
Dopo gli scontri, in ogni caso, i manifestanti non sono restati a mani vuote. Dapprima, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, le autorità hanno cercato di resistere e di gettare la colpa sulle onnipresenti cricche straniere.
Sul sito dell’amministrazione locale sarebbe infatti apparsa una comunicazione secondo la quale “il genere di persone che supportano le proteste di Shifang sono le stesse che aiutano i gruppi stranieri nemici del governo cinese”. Sempre secondo il Wall Street Journal, il comunicato menzionava esplicitamente il Falun Gong e il Dalai Lama.
La tattica non ha funzionato, e così “il sindaco Xu Guangyong e il vice sindaco Zhang Daobin hanno risposto a chi protestava affermando che fino a quando la maggior parte del pubblico continuerà ad opporvisi, la costruzione dell’impianto sarà sospesa”.
In realtà, i cittadini avevano già avuto modo di lamentarsi. Il Global Times – quotidiano del Partito – ha scritto che “i residenti locali avevano sporto delle lamentele con l’amministrazione chiedendo che il progetto venisse cancellato. Ma in passato i funzionari non si erano decisi a risolvere il problema”.
Gli utenti di Weibo, il twitter cinese, si sono uniti al coro generale di protesta contro l’industria e la repressione da parte delle forze di polizia.
“Lawyer Yang Jianming”, per esempio, sottolinea come in Cina non vi siano “né legge né giustizia, il Partito controlla tutto". Un giorno, però, “se il problema non verrà risolto, il vulcano esploderà”.
"Zhanlaowantong" va meno per il sottile, e senza metafore si rivolge alle autorità: “Amministrazione di Shifang, amministrazione regionale del Sichuan: il popolo vi rovescerà se non vi esporrete ammettendo le vostre malefatte! [Siete] delle bestie simili a porci!”
* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.
[Scritto per Lettera 43; Foto Credits: trust.org]