Cina e Web 3.0. Aziende e perfino organi di stampa cinesi si stanno lanciando nella produzione di Nft (non fungible token) rendendo chiaro l’intento del Partito di creare una propria rete locale, autonoma e autosufficiente contro le potenziali speculazioni finanziarie
«La mania degli Nft è arrivata in Cina, ma al suo interno non sembra esserci traccia di criptovalute», ha scritto The Protocol analizzando la nuova ondata pechinese relativa agli Nft, i non fungible token, manufatti digitali cui è garantita originalità e unicità da una blockchain. Il discorso relativo agli Nft finisce per coinvolgere il progetto di Bsn (Blockchain Service Network) lanciato dal governo cinese. Non solo, perché Pechino sta sperimentando ormai da tempo lo yuan digitale (che non è una criptovaluta) all’interno di un piano strategico vero e proprio.
IL 14° PIANO QUINQUENNALE (2021-2025) vede nella digitalizzazione un punto fermo e come ricorda Winston Ma, professore a contratto alla Nyu Law School e autore di The Digital War – How China’s Tech Power Shapes the Future of AI, Blockchain and Cyberspace, «In un discorso dell’ottobre 2019, il presidente Xi Jinping ha detto che la blockchain è “un importante passo avanti”, che avrà “un ruolo importante nel prossimo ciclo di innovazione tecnologica e trasformazione industriale». Il presidente ha poi esortato la Cina ad accelerare lo sviluppo della blockchain per «cogliere l’opportunità»: osservazioni – scrive Ma – che hanno spinto il primo grande leader mondiale «a dare un così forte sostegno alla tecnologia di registro distribuito (Dlt) ampiamente pubblicizzata, ma ancora non dimostrata».
QUALCHE MESE PRIMA, nel 2018, Xi Jinping aveva spiegato che «Una nuova generazione di tecnologia rappresentata da intelligenza artificiale, informazioni quantistiche, comunicazioni mobili, Internet delle cose e blockchain sta accelerando applicazioni rivoluzionarie». A questo proposito si va delineando una «blockchain con caratteristiche cinesi» E per rendere più chiaro questo concetto gli Nft costituiscono un buon esempio. Di recente di Nft si sente parlare sempre più spesso: alcune case d’asta hanno rilasciato Nft a prezzi esorbitanti (di recente è stato battuto il «primo sms della storia», del 1992, con il testo: «Merry Christmas»).
Da molti viene vista come una nuova possibilità di guadagno per gli artisti, da altri come un rinnovato strumento di finanziarizzazione del capitalismo. O come l’esempio del funzionamento decentralizzato e solo apparentemente più democratico delle blockchain. Altri come Brian Eno – in una intervista su Crypto Syllabus – l’hanno etichettato come uno strumento in modo che anche gli artisti diventino degli «stronzi capitalisti».
ALTRE, COME GERALDINE JUÁREZ intervistata da Morozov, hanno ricordato che «alcuni sostenitori dell’Internet delle risorse promuovono la cultura blockchain come un’infrastruttura di rete più democratica che eguaglierà le attuali disparità. Ma in realtà, penso, stanno solo promuovendo la visione dei ricchi e della loro ricchezza. Forse quello di cui abbiamo effettivamente bisogno è un capitalismo leggermente peggiore: meno produttivo e meno dinamico». Nell’onda degli Nft non poteva mancare l’Asia, continente nel quale si sono mossi da tempo esperimenti in questo senso (uno dei paesi più attivi è la Corea del Sud dove di recente il gruppo Bts ha lanciato alcuni prodotti sotto forma di Nft). E non poteva mancare la Cina, pronta ad annusare questo nuovo mondo, senza dimenticare la propria bussola per tutto quanto concerne quel mondo, ovvero la sovranità digitale. Pechino, infatti, dopo aver condotto una guerra feroce contro le criptovalute e la loro estrazione (il bit mining) ha già bollato come «rischi speculativi» tutto quanto si muove all’interno delle blockchain e degli Nft.
MA LA DIRIGENZA CINESE raramente ignora fenomeni che assumono un rilievo globale. E quello degli Nft comincia ad esserlo: secondo un report della piattaforma di analisi DappRadar, riportata da Startingfinance.com, «i volumi di vendita mondiali degli Nft hanno raggiunto i 10,67 miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2021. Ciò rappresenta un incremento del +704% rispetto al trimestre precedente e un incredibile aumento annuale del+38.060%». Oggi il valore totale degli Nft emessi sulla blockchain di Ethereum (la più utilizzata) ammonta a oltre 14 miliardi di dollari, rispetto ai circa 340 milioni dell’anno scorso. Secondo un sondaggio condotto a marzo dalla società di ricerche di mercato Harris, l’11% degli adulti americani ha affermato di aver acquistato un Nft, solo un punto percentuale in meno rispetto a chi investe in materie prime.
Gli analisti della banca d’investimento Jefferies prevedono che il valore degli Nft raddoppierà l’anno prossimo e si avvicinerà a 80 miliardi di dollari entro il 2025. Qual è dunque il problema che si pone per la Cina?
GESTIRE UNA BLOCKCHAIN senza criptovalute e proteggere, come già fatto in precedenza e proprio sul solco di esperienze passate come quella del 2008, il proprio sistema finanziario. In Occidente, dire Nft significa dire criptovalute, coniate principalmente sulla blockchain di Ethereum. Il problema, come sottolineato da Protocol, è che «l’estrazione, il commercio e lo scambio di criptovalute sono vietati in Cina. Senza l’accesso legale all’Ethereum, non esiste un modo sicuro per vendere o acquistare un Nft come avviene al di fuori della Cina».
Per questo motivo le aziende cinesi, grandi e piccole, hanno escogitato diverse soluzioni fatte in casa. Una prima è quella governativa, la Bsn, cui partecipano anche China UnionPay, China Mobile e China Merchants Bank. Il white paper nel quale si spiegano le funzionalità di Bsn, come riportato da Digichina, esplica il progetto come una forma di «blockchain consortile in cui tutti gli attributi aziendali sono formulati dal proprietario dell’applicazione e gli utenti devono ottenere l’approvazione dal proprietario dell’applicazione prima di poterla utilizzare», in contrasto con le caratteristiche salienti delle blockchain come le conosciamo.
MA IL BSN HA INTEGRATO alcune blockchain: Tezos, Neo, Nervos, Eos, IRISnet ed Ethereum, ma ha successivamente sviluppato il numero di partnership con altri fornitori di blockchain pubblici fino a un totale di 15. Oggi il Bsn «è diviso in due diverse piattaforme: una per gli utenti domestici e una per quelli al di fuori della Cina, offrendo due insiemi distinti di opzioni blockchain, fisicamente separate. Il Bsn ha stretto una partnership con Google Cloud e Amazon Web Services (AWS), facendo affidamento sui data center AWS di Hong Kong, California e Parigi per abilitare i suoi servizi internazionali, mentre per quelli domestici si affida ai servizi cloud di China Mobile, China Telecom e Baidu AI Cloud». In sostanza, la Cina si comporta con la blockchain seguendo le linee del suo «modello»: integrato con i meccanismi del mercato globale, ma protetto a sufficienza per evitare speculazioni sul proprio territorio, anche virtuale.
NELLE ULTIME SETTIMANE l’attenzione per gli Nft in Cina è aumentata a dismisura: l’ultima arrivata è l’agenzia di stampa statale Xinhua che rilascerà oggetti da collezione (dei reportage fotografici) emessi gratuitamente tramite la sua app di notizie. Xinhua segue Alibaba e JD – colosso dell’e-commerce – che ha lanciato la piattaforma Nft Lingxi, accessibile via mini program sulle app JD. Il primo oggetto da collezione digitale della piattaforma è stato un rendering digitale di Joy, la mascotte dell’azienda, a un prezzo di un euro circa.
Il tutto gira sulla blockchain dell’azienda, ma gli utenti non possono rivendere gli oggetti da collezione, come richiesto dalle regole sulla prevenzione della speculazione digitale. A questo proposito bisogna sottolineare che le autorità cinesi hanno etichettato gli Nft come «illegali» e la stampa nazionale ha raccolto il messaggio sottolineando i rischi speculativi.
Come sottolineato dal South China Morning Post, «Il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito comunista cinese, si è espresso contro la febbre degli investimenti intorno agli Nft», chiedendosi se si tratti di un altro «gioco a somma zero pubblicizzato dagli investitori e dagli investitori in criptovalute». Anche Alibaba si è mossa, così come la società di media 36kr Holdings che ha regalato 1.124 oggetti da collezione digitali a tema «metaverso» in una conferenza a Shenzhen. La Cina si muove, sperimenta, dimostrando flessibilità alla ricerca di un metodo per inglobare tendenze mondiali. Come ripetuto dal presidente Xi Jinping, del resto, «Un nuovo ciclo di rivoluzione scientifica e industriale sta ricostruendo la mappa dell’innovazione globale e rimodellando la struttura economica globale» e Pechino – a questo giro storico – non farà da spettatore.
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.