Nervi tesi tra New Delhi e Pechino. È quanto emerge da un episodio piuttosto raro nei rapporti tra Cina e India ma che, inserito nel contesto delle ultime vicende che hanno interessato da vicino le due potenze asiatiche, tradisce una presunta guerra a bassa intensità che incrocia diplomazia e burocrazia. Le autorità di New Delhi hanno appena rifiutato il prolungamento del visto giornalistico a tre cronisti dell’agenzia di stato cinese Xinhua, con accuse circostanziate di aver assunto identità fittizie per entrare in dipartimenti riservati della macchina burocratica statale. Dalle pagine dei quotidiani cinesi è arrivata la risposta minacciosa di Pechino.Le richieste di un rinnovo temporaneo – «alcuni mesi» – del visto indiano per Wu Qiang, capo dell’ufficio Xinhua di New Delhi, e i due colleghi di stanza a Mumbai, Lu Tang e She Yonggang – sono state respinte dalle autorità indiane. I tre avevano seguito la procedura standard per il rinnovo, motivata dai tempi tecnici di avvicendamento interno di Xinhua, che si stava preparando a sostituire i tre giornalisti con altri colleghi cinesi. Ma, ed è la prima volta che succede, i funzionari del ministero dell’interno indiano hanno respinto la richiesta, fissando come data ultima per l’espatrio il prossimo 31 luglio.
L’Economic Times, citando «fonti» non meglio specificate, rivela che il rifiuto del rinnovo sarebbe stato motivato da rapporti di intelligence che accusavano i tre di aver assunto identità fittizie per avere accesso a, sempre non meglio specificate, «aree riservate», specificando che Wu non era proprio un corrispondente di primo pelo in India: ci viveva da sei anni, senza mai aver avuto problemi di rinnovo del visto.
L’episodio ha le sembianze di una ripicca burocratica in risposta all’ostracismo avanzato dalla diplomazia cinese mentre l’India cercava di raccogliere consensi per entrare a far parte del Nuclear Suppliers Group (Nsg), l’organo di controllo internazionale che regola la diffusione di materiale nucleare con l’obiettivo formale di ridurre il rischio della proliferazione di testate atomiche. La domanda di entrata dell’India era stata respinta alla fine del giugno scorso e New Delhi, da allora, ha a più riprese individuato pubblicamente la Cina come la responsabile del rifiuto. Nota: l’India, che da anni tenta di entrare nel club di 40 nazioni che «regolano» la diffusione di materiale nucleare, non ha ancora firmato il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) e, al momento, è rimasta in compagnia di altre tre nazioni non firmatarie (Pakistan, Sud Sudan e Israele) più una «ritirata» (Corea del Nord).
La risposta della Cina non si è fatta attendere.
In un editoriale del Global Times si legge che, oltre alle accuse di identità false, ai tre giornalisti sarebbe anche imputata la «colpa» di aver intervistato esponenti della comunità tibetana in esilio in India (membri del «Dalai lama Group», si legge nel pezzo). Lu Pengfei, ex inviato del Global Times in India, spiega che «per i giornalisti cinesi in India non c’è alcun bisogno di fare interviste dietro falso nome ed è assolutamente normale chiedere interviste al Dalai Lama Group».
«Ad ogni modo, non è un bene che l’India abbia rifiutato il visto ai giornalisti cinesi», prosegue il quotidiano cinese in lingua inglese, «L’azione ha mandato un messaggio negativo e le comunicazioni mediatiche tra Cina e India subiranno inevitabilmente conseguenze negative. L’India ha una mente diffidente», chiarendo che la Cina, ostacolando l’entrata di New Delhi nell’Nsg non intendeva «mancare di rispetto», bensì si è semplicemente attenuta alle regole interne del gruppo che prevedono, come precondizione all’entrata, la firma del Tnp.
In conclusione, dopo aver sottolineato che anche altri cittadini cinesi hanno incontrato problemi nel rilascio di visti per l’India, mentre per i cittadini indiani entrare in Cina risulta essere «molto più facile», l’editoriale si conclude con una minaccia nemmeno troppo velata: «Sul fatto dei visti questa volta dovremmo prendere provvedimenti e mostrare la nostra reazione. Dovremmo almeno far sentire a qualche indiano che nemmeno i visti per la Cina sono così facili da ottenere».
[Scritto per Eastonline]