Candele, fiori e magliette nere. A Hong Kong ieri, chiunque era in strada con questi oggetti veniva fermato e perquisito dalla polizia. Per molti è stato difficile sfuggire al controllo dei 7mila poliziotti predisposti alla sorveglianza delle strade dell’ex colonia britannica, nel giorno che segna il ricordo del massacro di piazza Tiananmen.
A distanza di 32 anni dal 4 giugno 1989, la città, che dovrebbe godere di libertà civili e politiche sancite dalla Basic Law e garantite dal modello «un paese, due sistemi», non ha potuto ricordare lo storico evento, contrassegnato da violenza e repressione del dissenso, che è stato uno spartiacque per la politica cinese.
Come lo scorso anno, la vigilia del 4 giugno è stata vietata dalle autorità di Hong Kong a causa della situazione pandemica, nonostante i pochissimi casi di Covid-19 registrati nelle ultime settimane. Il governo locale attua così quella pratica adottata da decenni dal Pcc: impedire di ricordare quanto accaduto a Pechino la notte tra il 3 e il 4 giugno 1989. Il Victoria Park di Hong Kong, luogo dove ogni anno centinaia di migliaia di persone si radunano per commemorare le vittime del massacro di Tiananmen, è stato chiuso al pubblico e presidiato dagli agenti.
Nelle arterie stradali verso il grande parco cittadino sono stati disposti anche blindati e cannoni ad acqua, mezzi che non si vedevano dalle manifestazioni del 2019. Ma gli hongkonghesi, che rischiano fino a cinque anni di reclusione per aver organizzato e preso parte alle manifestazione illegale in base alla legge sulla sicurezza nazionale, hanno utilizzato l’inventiva come unica arma rimasta.
In serata molti hanno acceso una candela, mostrandola dalla propria finestra, o hanno camminato in strada con la luce del proprio smartphone accesa. Un atto di coraggio compiuto anche per i cento attivisti in carcere. Ieri mattina è stata arrestata Chow Hang Tung, vicepresidente dell’Hong Kong Alliance in Support of Patriotic Democratic Movements of China, l’organizzazione che in passato ha organizzato la veglia a Victoria Park. Secondo i legali, Chow è in stato di fermo perché accusata di aver promosso la manifestazione non autorizzata dopo aver pubblicato il 29 maggio scorso un post su Facebook intitolato «Accendere una candela non è un crimine».
La giovane Chow, che ha preso le redini dell’organizzazione dopo l’arresto del responsabile Lee Cheuk-yan, negli scorsi giorni aveva invitato gli hongkonghesi a ricordare in privato il 4 giugno, partecipando a eventi online, ed evitare così arresti di massa. Ma qualche fermo c’è stato. Secondo la polizia locale, sei persone sono state arrestate mentre altre dodici sono state multate per aver violato il divieto relativo al coronavirus per i raduni con più di quattro persone all’esterno.
Anche le finestre del Consolato degli Usa e dell’Ufficio dell’Ue a Hong Kong si sono illuminate con la luce delle candele accese. Nell’ex colonia britannica si combatte una battaglia contro l’oblio, facendo luce sul ricordo che, altrimenti, scomparirebbe nel buio.
[Pubblicato su il manifesto]Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.