Del fenomeno i giornali giapponesi parlano da un po’. Circa un anno e mezzo fa, il popolare rotocalco Shukan SPA! si chiedeva se, visto l’arrancare dell’Abenomics, il programma di riforme economiche espansive promosso dal governo di Tokyo e dalla Bank of Japan, potesse la nekonomics «salvare» il Giappone.
Il settimanale stimava infatti che il giro d’affari gravitante intorno ai felini domestici — tra vendite di cibo per gatti, locali e festival dedicati ai gatti, pubblicità e giochi per lo smartphone — si aggirasse intorno ai 2,3 mila miliardi di yen (circa 20 miliardi di euro). Basti pensare alla popolarità del gatto capostazione, Tama da Kishi, o a quella delle immagini delle “isole dei gatti” — Tashirojima, a largo della provincia nordorientale di Miyagi, o Aoshima, più a sud, dove effettivamente la popolazione umana, causa invecchiamento, sta lasciando terreno a quella felina che non sembra subire nessuna crisi demografica — o ancora a quella del videogame per smartphone Nekoatsume, in cui il giocatore si doveva impegnare a raccattare quanti più gatti possibile e attendere ad ogni loro esigenza.
Ma si pensi anche ai famosi manekineko — le statuette a forma di gatto in posizione eretta che, si dice, «invitino» la fortuna con la loro zampa anteriore destra — o al numero inquietantemente alto di risultati che si hanno digitando «gatti» su Youtube.
A distanza di 18 mesi, ecco allora che si ritorna a parlare di nekonomics. L’azienda farmaceutica Toray ha annunciato nei giorni scorsi che metterà sul mercato una medicina di nuova concezione che, si dice, possa fermare il naturale deterioramento della funzionalità renale dei gatti. Bloomberg fa notare che la messa sul mercato di questo prodotto arriva all’apice della popolarità dei felini domestici: oggi nelle case del paese del Sol Levante vivono 9,84 milioni di gatti, un numero che fa quasi il paio con i 9,87 milioni di cani, ancora — forse per poco — animali domestici preferiti dai giapponesi, ma la cui diffusione è crollata del 14 per cento dal 2012 a oggi.
Per gli esperti il boom di gatti dipende anche, se non soprattutto, da questioni squisitamente economiche: secondo una ricerca di mercato del 2016 le spese totali medie per un cane si aggirano intorno ai 3 mila dollari l’anno, mentre quelle per un gatto ad appena la metà.
E poi «C’è un numero sempre maggiore di coppie lavoratrici o di anziani che tende a preferire i gatti», spiegava al Washington Post Yoshio Koshimura, presidente onorario della Japan Pet Food Association, perché, a differenza dei cani «non richiedono un grande sforzo per le cure». Il trend rispecchia ciò che succede già negli Stati Uniti o in Europa, dove i gatti sono sovrani assoluti degli animali domestici.
D’altra parte, l’impatto sul settore canino inizia a farsi chiaro: «Iniziamo a vedere allevatori di cani andare in bancarotta a causa del calo nel numero di persone che decidono di prendere un cane», ammetteva sempre al quotidiano Usa Mitsuaki Ota, professore alla Tokyo University of Agriculture.
Un brutto colpo per gli amanti dei cani — va detto, en passant, che dopo il gruppo sanguigno, la predilezione per cani o gatti è considerata dai giapponesi una delle determinanti del carattere di una persona —. Ma si sa, soprattutto nel paese del Sol levante, i trend vanno e vengono molto velocemente. Difficile dire se i gatti stiano per ottenere un’altra vittoria.
[Scritto per Eastonline]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.