«Né Dio né legge» fu la lapidaria formula elaborata da Marcel Granet, la stessa alla quale Renata Pisu si rivolge per riprender il filo di un discorso inaugurato nel remoto 1957, quando una giovane studentessa italiana in forze a Pechino si ritrovò testimone di quel tragico Grande balzo in avanti che mutò per sempre il corso della neonata Repubblica Popolare.
Il terzo giorno della Creazione Dio divise le acque dalla terra, ma anche l’Occidente dall’Estremo Oriente. La funzione della divinità, così come le forme e i processi culturali che ne hanno scandito la storia, da sempre è stata pietra miliare di una distanza incolmabile tra il pensiero occidentale e quello che – con necessaria approssimazione – chiamiamo il pensiero cinese.
Dalle parti di quel continente, infatti, in principio non era certo il Verbo, come scrive l’apostolo Giovanni, quanto invece il Wen, lo Scritto, il concetto rappresentato attraverso l’ideografia. Giustapposizioni per nulla oziose, che rappresentano invece la base dell’articolata riflessione condotta da Renata Pisu nel suo ultimo Né Dio né legge. La Cina e il caos armonioso (Editori Laterza).
Lavoro che giunge non a caso quale punto d’arrivo di una ricerca che l’autrice porta avanti da più di mezzo secolo, quando giovanissima giunse in Cina per studiare la lingua e la storia di quella regione del mondo. Quello che in apparenza potrebbe essere letto come un saggio sulle molteplici e complesse questioni intorno al problema religioso nella Terra di Mezzo – o Centro del Mondo, a seconda delle letture –, sembrerebbe in verità l’ultimo e fecondo capitolo di un’osservazione diffusa, e mai asettica, alla quale Renata Pisu si è dedicata senza sosta, toccando i nodi centrali di una diversità che spesso si è rivelata irrisolvibile, non-traducibile, cifra di una distanza che, in un’epoca di isterica contrazione spaziale, paradossalmente si è rinnovata di pagina in pagina.
Noi tutti, lettori e studiosi della parte occidentale di questo pianeta, siamo in diversa misura figli più o meno legittimi di una formulazione che ai tempi voleva suonare definitiva, incontrovertibile, ovvero la “famigerata” fine dei viaggi. Qualcosa che si armonizzava con una proiezione ancor più definitiva come la fine del mondo, intendendo con un simile corollario la raggiunta impossibilità di scoprire altro in quello che ormai era diventato uno spazio completamente noto.
La connessione sostanziale tra viaggio e scoperta veniva interrotta con toni drammatici, segnando così il primo miglio di quel villaggio globale che di lì a poco sarebbe diventata l’unica misura di confronto tra culture superstiti. Ma scoprire no, non era più possibile. Al limite ri-scoprire, seguendo con puntuale diligenza la traccia delle esplorazioni altrui, simili ormai a cicatrici sulla pelle del mondo.
La parabola di vita e di ricerca condotta da Renata Pisu ha seguito una direzione contraria. Viaggio a tratti sedentario, condotto molto spesso sul filo drammatico della memoria, esso compone un percorso enciclopedico intessuto di pagine di diario, lettere, articoli, riflessioni più o meno sparse eppure serrate nella loro funzione di divulgare storie e concetti non sempre di facile resa.
Un corpus orientato con severa caparbietà – e ispirata leggerezza – a smontare la ovvia rappresentazione della Cina odierna. E cosa vi è di più necessario che far ripartire la propria analisi dalla visione del mondo di un popolo, di una cultura, a partire dal suo rapporto con la religione e dallo spirito dei costumi che ne consegue?
«Né Dio né legge» fu la lapidaria formula elaborata da Marcel Granet, la stessa alla quale Renata Pisu si rivolge per riprender il filo di un discorso inaugurato nel remoto 1957, quando una giovane studentessa italiana in forze a Pechino si ritrovò testimone di quel tragico Grande balzo in avanti che mutò per sempre il corso della neonata Repubblica Popolare.
Cosa c’entra quindi Dio con Mao? Poco, probabilmente, o forse vi sono relazioni di senso celate sotto le rassicuranti cortine della storia che indicano un orizzonte nuovo, verso il quale indirizzare, appunto, viaggi nuovi. Perché noi abbiamo Cristo mentre i cinesi Confucio e Lao Zi? Un quesito che rievoca una pedagogia in apparenza datata, e che invece sopravvive quale enigma irrisolto.
In tal senso, nella sua ultima prova Renata Pisu non manifesta mai la presunzione di rispondere con formulazioni certe e incontrovertibili, ma ha avuto la prontezza di riproporre la questione in un momento determinante dei rapporti tra Occidente e Cina. Un nuovo ordine mondiale è alle porte, e gli strumenti forse logori della nostra tradizione non possono più bastare a se stessi per comprendere la novità in atto.
La Cina è qui, ora. La sua proverbiale vicinanza, predicata ormai da più di mezzo secolo, è diventata presenza quotidiana. È necessario dunque tornare alle origini di un simile confronto, rinnovandone i termini, pronunciando risposte nuove a domande secolari. Perché è vero che «In principio Dio creò il cielo e la terra», ma forse si era dimenticato di creare la Cina.
*Danilo Soscia è nato a Formia nel 1979. Studioso di letteratura di viaggio, vive e lavora a Pisa. Ha esordito nella narrativa nel 2008 con Condòmino (Manni) e ha curato il volume In Cina. Il Grand Tour degli italiani verso il Centro del Mondo 1904-1999 (Ets). È stato anche redattore del quotidiano Pisanotizie.it.