Come si suol dire, “se una farfalla batte le ali a Pechino, a New York si scatena una tempesta”. In tempi di globalizzazione e “trade war”, l’interdipendenza tra le due superpotenze mondiali ha già lasciato sul campo diverse vittime, ridefinendo la catena di distribuzione globale in comparti che spaziano dall’abbigliamento all’hi-tech. Il narcotraffico non fa eccezione. Lo sanno bene gli abitanti di La Montaña, regione di Guerrero, stato nel sud-ovest del Messico, dove i coltivatori di papaveri da oppio sono rimasti senza lavoro a causa delle importazioni di stupefacenti dalla Cina.
Con circa 75.000 acri di coltivazioni, il Messico è la principale fonte di eroina consumata negli Stati Uniti, circa l’86% del totale secondo la Drug Enforcement Agency. Un business introdotto negli anni ’70 dagli ufficiali militari per giustificare il giro di vite contro i guerriglieri locali, che per decenni ha rappresentato una delle principali fonti di sussistenza per la popolazione autoctona, tra le più povere del paese. Secondo gli ultimi dati governativi, nelle regioni montuose di Guerrero il 97% della popolazione vive ancora in condizioni di povertà, di cui il 69% in povertà estrema, contro una media nazionale rispettivamente del 44% e dell’8%.
“La coltivazione del papavero da oppio è ciò che ti permette di mandare i figli a scuola, comprare vestiti nuovi” o diversificare l’alimentazione quotidiana con l’aggiunta di carne e uova più di una volta alla settimana, spiega al New York Times Abel Barrera direttore del gruppo per la difesa dei diritti umani Tlachinollan. O almeno così è stato fino a circa un anno e mezzo fa, quando il prezzo della resina utilizzata nella produzione dell’eroina è crollato di circa il 90%. Ovvero da 590 dollari per mezzo chilo agli attuali 50 dollari.
In pochi a La Montaña si sanno dare una spiegazione. Spesso all’oscuro persino dell’utilizzo illecito a cui va incontro il loro prezioso raccolto, gli agricoltori locali si sono trovati improvvisamente a dover cambiare coltivazione, optando per il grano o, nel peggiore dei casi, a dover cambiare paese. Oltre ai fattori ambientali – dall’erosione del suolo ai cambiamenti climatici – una motivazione plausibile va ricercata oltre il confine settentrionale, dove la domanda di eroina ha riportato un netto calo in seguito a una diversificazione dell’offerta.
Tutto è cominciato nel 2017, quando l’area coltivata a papavero da oppio è aumentata del 38% su base annua, facendo schizzare la produzione di eroina a quota 122 tonnellate rispetto alle 89 tonnellate del 2016. Contestualmente l’arrivo sulla East Coast di una nuova potentissima droga parrebbe aver contribuito all’aumento verticale delle giacenze e all’erosione dei prezzi del papavero da oppio. Parliamo del Fentanyl, un analgesico oppioide sintetico 100 volte più forte della morfina, prodotto illegalmente in Cina da centinaia di piccoli laboratori e fatto recapitare sull’altra sponda del Pacifico attraverso il sistema postale americano. Per avere un’idea del fenomeno, si consideri che se nel 2014 il Fentanyl – spesso sotto forma di pastiglie – ha ucciso oltre 5mila persone negli Stati Uniti, tre anni dopo il numero di morti per overdose era già salito a 49mila. E il 68% della droga arriva proprio da oltre la Muraglia.
Trump ha gridato alla “scandalo” e dal 2017 autorità cinesi e statunitensi lavorano in tandem per combattere la sostanza mortale, finita sulla lista delle questioni negoziabile nell’ambito delle trattative in corso per mettere fine alla logorante guerra commerciale. Come preventivato dal presidente cinese Xi Jinping a margine del G20 di Buenos Aires, da aprile regole più stringenti promettono di debellare la produzione non solo del Fentanyl ma anche di tutte le sue varianti. Stando all’inquilino della Casa Bianca, il farmaco parrebbe essersi assicurato un posticino persino durante l’ultimo bilaterale di Osaka, sebbene non sia chiaro in che termini.
Bisogna tornare in Messico per capire come la crisi innescata dal narcotraffico “made in China” stia causando all’amministrazione Trump non pochi problemi. I costi in termini di vite umane giustificano solo in parte le preoccupazioni di Washington. Stando al New York Times, infatti, il calo dei prezzi del papavero da oppio sta spingendo i coltivatori di Guerrero a cercare lavoro altrove. Mentre la maggior parte di loro sceglie di rifarsi una vita negli stati più ricchi del paese, sono sempre di più quelli ad affidarsi ai trafficanti per raggiungere la California e altre zone agricole degli Stati Uniti, ingrossando la marea umana in arrivo dalla frontiera meridionale. I numeri parlano chiaro. Se fino a un paio di anni fa la comunità di San Miguel Amoltepec Viejo contava 500 abitanti, oggi i residenti sono meno di 300. Nel mezzo, almeno una ventina dei più giovani è emigrata negli States, mentre chi resta campa con le rimesse spedite da oltreconfine e pianifica il proprio espatrio.
Insomma, per una ragione o per un’altra, è probabile che il Fentanyl continuerà ad animare i tavoli negoziali tra Cina e Stati Uniti.
[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.