Il Myanmar ha al suo interno numerose minoranze etniche organizzate in milizie armate. Alcune di esse ora dicono di essere pronte a scendere in campo per combattere l’esercito. Tra queste il Karen National Union, e non a caso l’esercito birmano ha effettuato degli attacchi aerei nell’area in cui opera, portando alla fuga diverse migliaia di persone, tra cui tremila avrebbero oltrepassato il confine con la Thailandia. Ma anche l’Arakan Army, che opera nello Stato di Kachin. Un suo portavoce ha dichiarato che l’intenzione è quella di unire le forze tra le milizie etniche della regione di unirsi per “proteggere le vite e le proprietà degli oppressi birmani”. I combattimenti tra Arakan Army ed esercito si sono intensificati tra il novembre 2018 e il novembre 2020, causando centinaia di morti e circa duecentomila sfollati. Dopo una tregua il regime aveva deciso di rimuovere la milizia dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Sembrava un primo passo verso la distensione, ora invece torna la possibilità di uno scontro.
Non si tratta di un passaggio banale. Le minoranze etniche in Myanmar costituiscono circa un terzo della popolazione e se i vari gruppi riuscissero a mettere da parte le divergenze per schierarsi contro il golpe gli equilibri potrebbero cambiare. Soprattutto se ci fosse una convergenza con lo United Wa State Army e il Kachin Independence Army, due milizie attive in zone lungo il confine con la Cina. Entrambe sono in possesso di armi sofisticate di produzione cinese, incluso anche (nel primo caso) di un sistema di difesa aerea.
L’influenza di Pechino su questi gruppi è da sempre considerata rilevante, tanto da aver causato in passato più di qualche frizione tra l’esercito birmano e il Governo cinese. Un paio di settimane fa, dalla Cina era arrivato l’invito a “ristabilire l’ordine” dopo che i manifestanti avevano preso di mira numerose aziende del Dragone presenti in Myanmar. Ordine che non sembra poter garantire il Tatmadaw, soprattutto nel caso di uno scontro su larga scala con le milizie etniche. Osservare i movimenti dello United Wa State Army e del Kachin Independence Army potrebbe dare indizi importanti sulle reali volontà di Pechino. Il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian ha ribadito la sua “preoccupazione” per l’evoluzione degli eventi in Myanmar e ha auspicato che “tutte le parti tengano presente gli interessi fondamentali del popolo birmano, continuino a impegnarsi per allentare le tensioni attraverso il dialogo e le consultazioni” e proseguendo “a portare avanti il processo di transizione democratica nel Paese”. A prima vista può sembrare una dichiarazione in perfetta linea con il dogma cinese di “non interferenza” negli affari interni altrui, ma il riferimento alla “transizione democratica” apre a potenziali interpretazioni alternative.
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.