Myanmar – Il trionfo della Signora

In by Simone

La vittoria della Lega nazionale per la democrazia guidata da Aung San Suu Kyi alle prime elezioni democratiche degli ultimi 25 anni segna un punto di non ritorno della storia del Myanmar. Ma è anche il punto d’inizio di un lungo cammino in salita verso il cambiamento di cui il paese ha bisogno.Ha dovuto attendere 25 anni per potersi esibire nella sua variopinta ruota, ma ora il “pavone dorato” dovrebbe aver riportato una vittoria schiacciante nelle prime elezioni libere tenutesi in Myanmar dal 1990. A due giorni dal voto i risultati parziali diffusi dalla commissione elettorale birmana danno in netto vantaggio la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) del Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, il partito che da sempre si oppone al potere dei generali e che ha scelto come proprio simbolo l’uccello dalla sgargiante livrea posto in un campo rosso accanto a una stella bianca.

In molte città e zone del paese le notizie sull’esito della consultazione sono state accompagnate da manifestazioni di giubilo da parte dei sostenitori del partito che ha affrontato, e sconfitto, lo Union solidarity and development party (Usdp), la forza che dal 2011 governa il Paese vestendo la divisa dei militari sotto gli abiti civili. Un entusiasmo più che comprensibile da parte di una popolazione che ha aspettato per un quarto di secolo la possibilità di recarsi alle urne per eleggere liberamente i propri governanti e che da tempo brama una svolta capace di trascinare l’ex Birmania fuori da un baratro fatto di cinquant’anni di dittatura dei militari e di totale isolamento dal mondo esterno.

Eppure, come ha sottolineato immediatamente la stessa Aung San Suu Kyi, «è troppo presto per festeggiare».

La composta serenità che la daw (signora, in lingua birmana), figlia dell’eroe nazionale Aung San, non ha mai abbandonato neanche nei momenti di più aspro confronto con i suoi avversari nasce non solo dalla sua enorme forza d’animo ma anche dall’abitudine a confrontarsi con la realtà effettiva che la circonda, rifuggendo i facili entusiasmi.

E Mae Suu, Madre Suu, come viene chiamata dai suoi sostenitori, sa bene che il trionfo del suo partito ai seggi per quanto possa segnare una rottura importante nella storia del paese, rappresenta solo l’inizio di un lungo cammino in salita verso la democrazia e il cambiamento.

Gli ostacoli che insidiano la vittoria della Lega nazionale per la democrazia sono molteplici. La legge birmana riserva un quarto dei seggi di ciascun ramo del parlamento agli uomini in uniforme, cosa che rende necessario per la Lnd conquistare almeno due terzi di ciascuna delle due camere per poter formare il governo.

Un esecutivo nel quale, in ogni caso, i generali occuperanno di diritto le importanti poltrone dei ministeri dell’interno, della difesa e degli affari di frontiera, godendo inoltre di un veto capace di rendere estremamente complessa, se non impossibile, la riforma della costituzione che San Suu Kyi ha promesso di realizzare. Senza contare che la stessa carta fondamentale prevede che nessun cittadino sposato o con figli stranieri possa diventare presidente, escludendo quindi dalla corsa alla presidenza la leader democratica, il cui defunto marito era di nazionalità britannica.

In questo contesto il risultato del voto potrebbe essere influenzato in maniera significativa dalle preferenze espresse dalle numerosissime minoranze etniche presenti in un paese con una popolazione di oltre 53 milioni di persone divisa in più di 130 etnie. Una frammentazione che fa rima con complessità e che potrebbe richiedere alla Lnd non pochi compromessi per l’esercizio del potere.

Proprio come accaduto con il crescente nazionalismo buddista, sempre più diffuso in Myanmar, dove l’80-90 per cento degli abitanti è fedele agli insegnamenti di «Colui che si è risvegliato» e dove è in costante aumento il numero di persone che considera giustificata la «caccia al musulmano» portata avanti dal Ma Ba Tha, o Associazione patriottica del Myanmar, e dal gruppo islamofobo Movimento 969.

Pur sottolineando la necessità di affrontare con urgenza la questione delle minoranze, la Lega ha preferito seguire la strada del rivale, escludendo dalle sue liste qualsiasi candidato musulmano. Una scelta giustificata come realpolitik dai vertici del partito ma che ha attirato non poche critiche.

Da ultimo la Lega nazionale per la democrazia dovrà fare i conti con l’elezione del presidente del Myanmar, prevista non prima di gennaio. Il sistema in vigore prevede che la camera alta, la camera bassa e alcuni membri non eletti dell’esercito esprimano un candidato a testa. I tre sono quindi votati nel corso di una sessione congiunta del Parlamento. Vista l’esclusione di San Suu Kyi sono in molti a chiedersi chi sarà il candidato della Lega.

Un interrogativo che al momento non ha ancora trovato risposta, sebbene la leader abbia comunque sottolineato che «non è necessario sedere su una poltrona per prendere decisioni».

[Foto credit: ibtimes.co.uk]

*Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.