A cinque giorni dal summit dei Paesi del Sudest asiatico (Asean) che ha cercato di frenare la giunta birmana e di avviare un processo negoziale, le notizie che arrivano dal Paese, se vedono un rallentamento del killeraggio quotidiano dei dimostranti, non sembra mostrare una modifica dei progetti dei golpisti.
Eppure qualcosa si muove. Mentre a Occidente si intensificano le misure contro la giunta, persino Mosca si dice preoccupata, anche perché gli eserciti delle autonomie regionali sembrano aver preso sul serio la richiesta del governo ombra (Nug) di formare una nuova armata federale e gli scontri alla periferia del Paese tra eserciti autonomisti e Tatmadaw (quello dei golpisti) si intensificano.
Con 756 morti dal 1 febbraio, la giornata di ieri si è chiusa con un bilancio di «soli» 6 morti dal 24 aprile, data del summit Asean in cui i dieci Paesi aderenti hanno siglato una road map in cinque punti che è stata criticata sia perché non contiene la richiesta di liberazione dei detenuti politici (4mila), sia perché la violenza dovrebbero smettere da «tutte le parti», come se chi protesta avesse esercitato violenza anziché subirla. Ma intanto qualcosa è successo: se anche le manifestazioni hanno rallentato, non si sono mai fermate (e il Nug ha promesso che pagherà gli stipendi dei funzionari pubblici in sciopero) e i militari sembrano quanto meno più prudenti nel calcare la mano pur se, a loro modo di vedere, il summit avrebbe ascoltato le loro ragioni.
Ma al summit Tatmadaw non è stato riconosciuto come governo legittimo e, benché poca cosa nei fatti, il senso diplomatico della scelta non è affatto secondario. Lo si capisce anche dalla prima cauta reazione di Mosca, finora il sodale più stretto della giunta.
Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, secondo l’agenzia turca Anadolu, ha detto che Mosca è «molto preoccupata e guarda con grande attenzione quello che sta accadendo» e che condanna «fermamente le azioni che portano alla perdita di vite umane tra la popolazione civile». Frasi forse di rito ma anche il segnale di un’incrinatura nell’asse di sostegno alla giunta che gode di appoggi sempre più risicati. Lunedì anche l’ex presidente Obama ha espresso solidarietà ai manifestanti mettendo in guardia sul rischio di un nuovo «Stato fallito» e un gruppo bipartisan di senatori statunitensi ha esortato Biden a ulteriori sanzioni alla giunta.
Ma la vera svolta è sul terreno dove Tatmadaw deve affrontare sempre di più le milizie dei diversi eserciti regionali. Martedì scorso ci sono stati pesanti combattimenti attorno a un avamposto di Tatmadaw al confine orientale con la Thailandia, nell’area controllata da militari Karen, mentre continuano gli scontri nel Nord con il Kachin Independence Army.
Attacchi a convogli e avamposti cui Tatmadaw risponde con bombardamenti aerei. Ma la cosa interessante è l’aspetto politico: secondo Myanmar-Now, le dieci organizzazioni armate etniche (Eao) – che avevano sottoscritto prima del golpe un accordo nazionale per il cessate il fuoco (Nca) – stanno avviando un negoziato con i gruppi non firmatari (almeno un’altra decina) per formare una coalizione. Mossa difficile ma che, se dovesse riuscire, creerebbe la possibilità di un nuovo esercito federale, al netto delle divisioni che in questi anni hanno segnato i rapporti tra le diverse autonomie regionali.
Tra il 26 e il 27 aprile un comitato di sette persone ha cominciato a stendere un piano. Il portavoce del comitato, il colonnello Sai Nguen che fa parte del Restoration Council of Shan State, ha spiegato che il negoziato includerebbe il Kachin Independence Army, l’United Wa State Army, lo Shan State Progress Party, il Ta’ang National Liberation Army, il Myanmar National Democratic Alliance Army, l’Arakan Army e il Karenni National Progressive Party, gruppi a lungo corteggiati da Tatmadaw proprio in quanto non firmatari dell’accordo con l’ex governo civile.
Ma per ora la giunta non ce l’ha fatta a tirarli dalla sua parte. I birmani si muovono anche nel Vecchio Continente: il 2 maggio le comunità birmane manifesteranno in 16 città chiedendo che il Nug venga riconosciuto. L’appuntamento in Italia è a Milano, alle 11 in Piazza mercanti, di fianco al Duomo.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]