Il mercato della telefonia mobile birmana ha iniziato ad aprirsi a compagnie straniere, ma i prezzi delle sim card rimangono proibitivi per un paese dove solo il 12 per cento della popolazione ha un telefonino. Una sim birmana costa 200 euro ed è un risultato: negli anni ’90 non bastavano 3000 dollari.
Il 27 giugno il governo birmano ha annunciato i vincitori della gara d’appalto per la gestione della telefonia mobile locale. Saranno Telenor (Norvegia) e Ooredoo (Qatar) a rivoluzionare un mercato in cui al momento solo il 12 per cento della popolazione ha un cellulare, secondo stime governative.
Il confronto tra circa novanta offerte, poi arrivate a undici nelle fasi finali di gara, vedeva tra i favoriti una joint venture tra la jamaicana Digicel, il magnate birmano Serge Pun e George Soros. L’aspirante fornitore aveva addirittura già organizzato una serie di eventi per il lancio.
Ma il governo semi-civile e riformatore di Nay Pyi Daw, che nel marzo 2011 ha preso il posto di una delle più longeve dittature militari, ha deciso di aprire il paese alle comunicazioni assegnando quindici anni di esclusiva alla compagnia norvegese – che da tempo si vociferava favorita per lo storico impegno della Norvegia a supporto della democrazia birmana – e all’ex Qatar Telecom, già operativa nel Sud-Est Asiatico in Indonesia, Singapore, Laos e Filippine.
Ma perché in Myanmar i cellulari sono così poco diffusi? Se guardiamo i dati mondiali, anche in paesi con Pil molto bassi o paragonabili a quello birmano – come ad esempio il confinante Laos – il cellulare è un bene di consumo di massa. In Myanmar invece è ancora un lusso a causa dei prezzi proibitivi delle sim card.
Il regime birmano ha mantenuto il controllo del paese attraverso una rigidissima censura e all’interno di queste misure è rientrata anche la decisione di rendere ardue le comunicazioni all’interno del paese. La stessa rete di telefonia fissa contava a malapena un milione di abbonati, su una popolazione di circa 60 milioni, nel 2010.
Le prime sim card furono introdotte in Myanmar alla fine degli anni ’90 al costo di 3300 dollari americani. Acquistarne una significava fare un vero e proprio investimento: la sim veniva affittata a turisti o uomini d’affari in transito, diventando così sinonimo di business e status symbol.
Il mercato, da sempre gestito dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, ha visto una riduzione dei prezzi e una diversificazione dell’offerta solo negli ultimi due anni. Adesso è possibile acquistare sim WCDMA (che si appoggiano sia alla rete GSM che a quella CDMA) all’equivalente di 200 euro.
Le tariffe sono estremamente convenienti e Internet è veloce, tanto che molti navigano dal computer usando il telefono come router, soprattutto per evitare i costosissimi abbonamenti a internet (circa 80 euro al mese).
Data la scarsità di sim a buon mercato, ancora oggi è possibile affitarne. I prezzi si aggirano intorno ai 6 euro al mese più 12 se si vuole abilitare il traffico dati internet. Un’alternativa per i turisti sono le sim a scadenza: una scheda dura trenta giorni e costa 20 euro, corrispondenti al traffico incluso. Le tariffe in questo caso sono pensate per gli stranieri e al termine del tempo o del credito il numero diventa inutilizzabile.
In attesa che la privatizzazione del mercato conduca all’auspicata diffusione del cellulare a circa l’80 per cento della popolazione, come dichiara di volere il governo, il Ministero da aprile di quest’anno ha iniziato a rilasciare mensilmente 350mila sim al prezzo di 1.500 kyats (circa 1,20 euro).
Le sim vengono assegnate tramite un sistema di lotteria. Chi vince spesso rivende la sim ai negozianti per ricavarne un guadagno. "Ho dovuto fare quattro o cinque telefonate prima di riuscire a trovare un rivenditore che mi vendesse una di queste sim a 50.000 kyats. L’offerta è molto scarsa rispetto alla richiesta, quindi si è creato un grosso mercato nero intorno a queste sim", riferisce Rikky Swe, produttore televisivo che guadagna 350mila kyats al mese (l’equivalente di 300 euro), un ottimo stipendio per un birmano.
Khun Oo racconta che l’anno scorso, quando i prezzi dei pacchetti di sim e telefono sono finalmente scesi intorno all’equivalente di 300 euro, una famiglia di contadini del suo villaggio nello stato Shan ha venduto la terra per poter comprare un cellulare. Questa è una delle drammatiche conseguenze della politica operata dalla dittatura. Il cellulare è stato trasformato, nell’immaginario della gente, da mezzo di comunicazione a mero simbolo di benessere.
Sebbene sul web si siano diffuse critiche circa la scelta del governo di assegnare una delle due licenze a una compagnia "musulmana", presto i birmani, anche i più radicalmente buddhisti e nazionalisti, si troveranno a cedere al richiamo di sms, telefonate e connessioni a internet finalmente accessibili.
*Ilaria Benini lavora come ricercatrice indipendente a Yangon, Myanmar. Laureata in Sociologia della Comunicazione, sta svolgendo la fase di ricerca sul campo del progetto "Myanmar and Media. An Ethnographic and Visual Research about old media, new media and perception of change". Ha viaggiato in Myanmar, Indonesia, Timor Leste, Cambogia, Laos, Malaysia, Thailandia
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