Da quando il Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) è entrato in vigore lo scorso primo gennaio, per i Paesi ASEAN esportare è diventato indubbiamente più facile. Il recente boom di vendite del durian in Cina offre importanti spunti di riflessione sulla sostenibilità dell’accordo e sulle sfide che derivano dalla creazione di una zona di libero scambio con un mercato grande come quello cinese. Poi il carbone indonesiano e la crisi in Laos
L’Associazione Italia-Asean nasce nel 2015. La sua missione è quella di rafforzare il legame e rendere più evidenti le reciproche opportunità, sia per le imprese che per le istituzioni. Qui pubblichiamo la newsletter Italia-Asean del 23 settembre.
Il RCEP rappresenta attualmente il 30% del PIL mondiale, nonché il più grande blocco commerciale del mondo. Per le dieci economie ASEAN, l’adesione all’accordo ha costituito un forte impulso all’esportazione dei propri prodotti. Accanto al quasi totale abbattimento delle barriere tariffarie, le più rapide tempistiche di sdoganamento delle merci deperibili costituiscono un grande vantaggio quando la freschezza è fondamentale a garantire l’alta qualità e la competitività del prodotto. È il caso del durian, diventato il frutto più importato in Cina, sia in termini di volume che di valore.
Stando alle statistiche delle dogane cinesi, nel 2021 le importazioni di durian fresco hanno raggiunto le 821.600 tonnellate, per un totale di 4.205 miliardi di dollari, registrando significativi incrementi rispetto agli anni precedenti. Paragonate a quelle del 2017, le importazioni del “re dei frutti” sono cresciute di ben quattro volte e un’ulteriore accelerazione delle vendite è prevista quest’anno.
Sebbene i costi si siano ridotti in seguito all’entrata in vigore del RCEP, questo non ha impattato sui prezzi, i quali seguono in crescita, parallelamente all’impennata della domanda del prodotto da parte dei consumatori cinesi. Ad oggi, un durian costa generalmente più di 7 dollari al pezzo, ma il prezzo elevato non ha fermato la richiesta nei supermercati e la diffusione di piatti a base di durian, come torte, crepes al latte di durian e addirittura hotpot al durian, recensiti con entusiasmo dai consumatori sui social media cinesi e popolari nei ristoranti di lusso.
In risposta, i Paesi produttori del Sud-Est asiatico stanno provvedendo ad ampliare la propria capacità produttiva. Solo dal 2019 al 2021, la Thailandia ha aumentato di circa il 30% la sua produzione di durian. “Le importazioni cinesi sono già elevate, ma si prevede che il consumo pro capite della Cina crescerà ulteriormente. Gli agricoltori thailandesi sono molto motivati a espandere la produzione”, ha spiegato a Nikkei un funzionario dell’ambasciata thailandese in Cina.
La Malesia sta disboscando parte delle sue foreste pluviali tropicali per fare spazio a piantagioni di durian “Musang King”, la varietà più pregiata e in voga, non senza causare conseguenze irreversibili sull’ecosistema e sulle comunità locali, secondo alcuni esperti. Una dichiarazione congiunta firmata da trentasei organizzazioni della società civile e promossa dal gruppo ambientalista B.E.A.CC..H individua nel disboscamento la causa principale delle recenti inondazioni nell’area di Gunung Inas, nel distretto di Baling, le quali hanno travolto 42 villaggi e aree residenziali, colpendo 1.500 abitanti del villaggio e causando la perdita di 3 vite umane. Anche Laos e Vietnam stanno ricevendo flussi crescenti di investimenti su larga scala, anche da parte cinese, destinati all’espansione della coltivazione del durian.
Il timore condiviso è che la moda del durian in Cina possa un giorno scemare, o che Pechino possa usare misure di restrizione delle importazioni come strumento diplomatico, come già avvenuto lo scorso marzo con il divieto di importazione di ananas taiwanesi. In altre parole, l’inclusione della Cina nella principale piattaforma di integrazione economica regionale, in nome di una maggiore cooperazione in tema di commercio e investimenti, è parsa auspicabile agli occhi di molti. D’altra parte, esiste il rischio che questo possa accrescere la dipendenza economica dei Paesi ASEAN dalla Cina, lasciando spazio a improvvise perturbazioni, anche nelle nicchie di mercato attualmente più redditizie, come quella del durian.
A cura di Michelle Cabula
L’Europa guarda al carbone indonesiano
In seguito alle sanzioni imposte dall’Europa ai danni di Mosca, le importazioni del combustibile russo si sono parzialmente interrotte e questo ha obbligato i Paesi europei a cercare risorse minerarie altrove. Il più grande esportatore di carbone termico al mondo, l’Indonesia, non esporta generalmente verso l’Europa, ma quest’anno farà un’eccezione. “La domanda di carbone indonesiano sta aumentando in modo significativo a causa della questione geopolitica”, ha dichiarato nei giorni scorsi Pandu Sjahrir, presidente dell’Associazione indonesiana delle miniere di carbone. In queste circostanze, la Germania sembra destinata a diventare il terzo importatore di carbone indonesiano dopo Cina e India. Rafli Yandra, direttore dello sviluppo commerciale della società statale Bukit Asam (nota anche come PTBA), ha dichiarato invece che sono state esportate 147.000 tonnellate di combustibile verso l’Italia da marzo a luglio di quest’anno. Altro forte compratore europeo appare la Polonia. I minatori indonesiani stanno registrando profitti ai massimi storici grazie all’impennata dei prezzi del carbone e all’aumento delle esportazioni. La PTBA ha registrato un utile netto di 6,2 trilioni di rupie (415 milioni di dollari) nella prima metà dell’anno, con un aumento del 246% rispetto al primo semestre del 2021. Bukit Asam ha prodotto 15,9 milioni di tonnellate di carbone tra gennaio e giugno, con un aumento del 20% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Anche Bumi Resources, il più grande produttore di carbone dell’Indonesia per volume, sta lavorando per aumentare la produzione di quest’anno fino a 83 milioni di tonnellate, il 6% in più rispetto al 2021. Tuttavia, in Indonesia la vendita di risorse minerarie all’estero è piuttosto complicata a causa del cosiddetto Obbligo del Mercato Interno (DMO), che prevede la cessione di una parte del carburante per soddisfare il fabbisogno nazionale. Nonostante questo desti preoccupazioni ai Paesi europei in vista dell’inverno, Sjahrir ha dichiarato che l’Europa diventerà uno dei maggiori acquirenti al mondo di carbone indonesiano.
Laos, la crisi opportunità per le riforme
Il Laos è stato colpito duramente dagli effetti della pandemia ma anche dalla crisi alimentare e inflazionistica. Con l’aumento dei prezzi del carburante causato, in parte, dal deprezzamento del Kip, numerosi contadini hanno abbandonato le campagne e si sono recati all’estero in cerca di lavoro. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, circa il 20% dei contadini laotiani non può permettersi di piantare riso a causa degli aumenti. I recenti risultati economici del Laos descrivono questa realtà. Il debito pubblico è passato da circa il 70% del PIL nel 2019, all’88% nel 2021, secondo i dati del governo laotiano. Anche l’inflazione è aumentata, passando da meno del 2% nel febbraio 2021 (su base annua) al 30% nell’agosto 2022, minacciando il tenore di vita soprattutto delle famiglie urbane a basso reddito. L’energia idroelettrica e l’industria mineraria si sono invece espanse rapidamente, diventando settori dominanti. Gli investimenti per espandere questi due settori sono stati finanziati con prestiti esterni, ma questi progetti non hanno ancora prodotto entrate a causa dei lunghi periodi di gestazione. Tuttavia, secondo alcuni analisti la crisi può rappresentare un punto di partenza per l’implementazione di importanti riforme di sviluppo. Questa svolta potrebbe avvenire attraverso riforme sulla riduzione del debito pubblico e miglioramenti riguardo la gestione della spesa pubblica, le quali garantirebbero un aumento delle entrate. Secondo Nikkei Asia, il Paese dovrà saper sfruttare al meglio le risorse di cui già possiede, quali il suo capitale naturale e i suoi giovani cittadini. Sarebbe dunque importante per il Laos investire sulla propria popolazione, aumentando la spesa per la salute e l’istruzione al fine di creare nuova forza lavoro, conclude Nikkei. L’economia laotiana presenta comunque buone potenzialità per poter intraprendere un percorso di riforme. Non va dimenticato infatti che con un tasso di crescita del prodotto interno lordo del 7% per oltre due decenni, il Laos è stata una delle economie in più rapida espansione del Sud-Est asiatico per oltre due decenni fino al 2019.