A Bruxelles c’è interesse per la conclusione di nuovi accordi di libero scambio, anche se la strada è in salita per i negoziati con i partner ASEAN. Le tensioni internazionali e le preoccupazioni domestiche (da entrambi i lati) rendono i negoziati più complessi. Ma il commercio internazionale rimane vitale per l’economia di entrambi i blocchi.
L’Associazione Italia-Asean nasce nel 2015. La sua missione è quella di rafforzare il legame e rendere più evidenti le reciproche opportunità, sia per le imprese che per le istituzioni. Qui pubblichiamo la newsletter Italia-Asean del 16 dicembre.
La Presidenza ceca del Consiglio UE aveva individuato a metà 2022, come sue priorità, la conclusione di nuovi free trade agreement (FTA) ‘in particolare in America Latina e nell’Indo-pacifico (…) con i partner like-minded’. Una priorità condivisa dai membri del Parlamento europeo che, durante le riunioni con i delegati di Praga che durante le prime settimane di Presidenza, hanno espresso l’urgenza di concludere gli accordi con Nuova Zelanda, Messico, Cile, Australia, India e MERCOSUR. In altre parole, a Bruxelles è vivo il desiderio aprirsi a nuovi mercati attraverso accordi bilaterali, ma si guarda ai differenti tavoli negoziali con diversi gradi di ottimismo. I trattati con Paesi ASEAN in discussione al momento – con Indonesia e Filippine – sembrano più difficili da concludere. I negoziati con Malesia e Thailandia sono rimasti bloccati per anni a causa delle vicende politiche interne dei due Paesi – se le trattative con Bangkok stanno ripartendo, quelle con Kuala Lumpur dovranno fare i conti con la crescente instabilità della politica nazionale. Tutto ciò nonostante l’UE abbia conseguito due recenti successi – i FTA con Vietnam e Singapore – proprio in questa regione.
Il negoziato in fase più avanzata è quello con l’Indonesia. Giacarta è un interlocutore essenziale per Bruxelles, e non solo sul piano commerciale. Il Paese è un attore fondamentale nell’ASEAN e anche nel G20, come ha dimostrato durante la sua recente Presidenza del Summit. Entrambi i partner sono interessati a rafforzare i rapporti commerciali, ma ci sono ancora dei nodi da sciogliere – in particolare, la tutela dei diritti di proprietà intellettuale (capitolo che abbraccia anche la protezione delle indicazioni geografiche) e l’annosa questione dell’olio di palma. La guerra russo-ucraina potrebbe incidere su questo punto dato che, da parte europea, la domanda di olii vegetali indonesiani sta crescendo – a causa della necessità di sostituire i fornitori nei Paesi coinvolti nel conflitto. Un altro tassello importante dell’accordo riguarderà gli investimenti. Anche in questo caso, l’opportunità economica si intreccia con quella politica. L’UE – come anche gli USA – si vuole presentare come un partner alternativo alla Cina nei progetti infrastrutturali strategici attraverso la strategia Global Gateway, pensata per rispondere alla Belt and Road Initiative di Pechino. Considerando che i rapporti commerciali Cina-Indonesia si stanno rafforzando anche grazie all’accordo RCEP, la conclusione di un FTA potrebbe aiutare Bruxelles a non perdere terreno rispetto a Pechino.
La tutela della proprietà intellettuale – in particolare quando riguarda il settore farmaceutico – è terreno di confronto anche nelle trattative con le Filippine. La percezione di Manila è che i negoziatori europei diano troppa priorità agli interessi dei detentori dei brevetti a discapito dell’interesse generale di accesso ai medicinali. Negli scorsi anni i negoziati erano andati a rilento anche a causa delle preoccupazioni dei MEP circa il rispetto dei diritti umani nel Paese – durante la campagna dell’ex presidente Rodrigo Duterte contro il traffico di droga avevano fatto scalpore le esecuzioni sommarie perpetrate dalle forze di sicurezza nazionali – e Strasburgo era arrivata a chiedere la sospensione del regime commerciale di favore GSP+. Il rispetto dei diritti umani, civili e politici è un requisito necessario per il proseguimento dell’iter negoziale dal punto di vista dell’UE – a riprova di questo, i negoziati con la Thailandia si erano interrotti nel 2014 a causa del golpe militare.
Anche questioni domestiche meno “sinistre” possono bloccare l’avanzamento delle trattative. Ad esempio, il dialogo con la Malesia si è interrotto a causa dell’incertezza politica nel parlamento di Kuala Lumpur: i recenti governi sono stati tutti sostenuti da maggioranze traballanti e mutevoli. E rimane difficile mettere d’accordo tutti gli stakeholder su temi complessi come i trattati commerciali. Per tornare al tema dell’olio di palma, gli agricoltori del settore sono un gruppo di pressione molto influente in Malesia e guardano con un certo fastidio alle politiche UE sul tema – e infatti i recenti governi nazionali sono stati molto duri verso Bruxelles, sollevando la questione anche in sede WTO, insieme all’Indonesia. D’altronde, anche la società civile europea ho opinioni forti, e di segno opposto, sul tema e influenza in questo senso le Istituzioni europee. I negoziatori europei si trovano a doversi destreggiare tra le richieste dei loro concittadini e quelle delle delegazioni dei partner, a volte anche divise al loro interno – in certi Paesi ASEAN, ministeri dello stesso governo sono in competizione tra loro per far prevalere gli interessi dei gruppi di pressione a cui sono più legati, a discapito di altre porzioni dell’economia o della società.
Nonostante le difficoltà, proseguire nella liberalizzazione dei rapporti commerciali può portare grandi benefici a entrambi i blocchi, i quali devono all’export buona parte del loro dinamismo economico. La conclusione di accordi bilaterali tra l’UE e i singoli Paesi ASEAN potrebbe facilitare i negoziati per un futuro FTA region-to-region – questa sembra essere l’obiettivo finale di Bruxelles dopo il fallimento dello stesso progetto nel 2009. Superare le difficoltà tecniche e politiche – che abbiamo solamente tratteggiato in questo articolo – rappresenterebbe un segnale positivo in una fase in cui l’unilateralismo sembra diventare la cifra della politica commerciale internazionale.
A cura di Pierfrancesco Mattiolo
Il digitale vietnamita sulla scena globale
La start-up vietnamita VNG Corp sta accelerando la sua espansione internazionale, ha dichiarato il co-fondatore ed amministratore delegato della società Le Hong Minh in un’intervista. Potrebbe così diventare la prima azienda tecnologica vietnamita a quotarsi in borsa negli Stati Uniti. Precedentemente nota come Vinagame, VNG ha iniziato la sua attività come editore di giochi nel 2004. Da lì in poi si è gradualmente espansa ad un’ampia gamma di servizi, come la condivisione di musica, lo streaming video, la messaggistica, un portale di notizie e i pagamenti mobili. VNG è emersa oggi come una delle start-up più seguite del Paese. A livello nazionale ha infatti abilmente difeso il suo mercato da giganti globali come Facebook grazie a funzioni culturalmente rilevanti per i vietnamiti, come apposite emoji dedicate alle festività nazionali, dimostrando così una comprensione profonda delle esigenze degli utenti. Ora VNG Corp sta accelerando gli sforzi all’estero, a partire dal suo ramo dedicato ai videogiochi che conta utenti in più di 130 Paesi. Prevede poi di passare anche all’intelligenza artificiale e al cloud computing. Nell’ambito dei suoi piani di crescita internazionale, VNG ha intrapreso a novembre le misure necessarie per l’inserimento in una borsa locale per aziende non quotate, il che spesso anticipa una quotazione vera e propria. Come detto, l’azienda starebbe anche valutando la possibilità di quotarsi negli Stati Uniti, anche se non è per ora stato confermato dal CEO della start-up. Tuttavia, trovare il successo globale non sarà facile. I leader del settore dei giochi, come la corrispettiva cinese Tencent e la statunitense Activision Blizzard Inc, dispongono di budget molto più ampi da dedicare allo sviluppo e al marketing globale. Ma Minh è ottimista e intravede un futuro in cui il Vietnam non sarà conosciuto solo per il tessile e l’agricoltura come lo è oggi, ma anche per la sua industria tecnologica globale.
Tesla si lancia sul mercato EV thailandese
Tesla ha avviato le sue vendite di veicoli elettrici in Thailandia, offrendo le sue popolari Model 3 e Model Y a prezzi economici e competitivi in diretta concorrenza con la rivale cinese BYD. L’azienda ha presentato i suoi piani nei giorni scorsi in un centro commerciale di Bangkok. Vi sono già stati numerosi ordini la cui consegna è prevista nei primi mesi del 2023. I veicoli saranno dotati dei più recenti sistemi di navigazione satellitare e di altre caratteristiche innovative come aggiornamenti software “over-the-air”. I prezzi, che variano dai 50.000 ai 71.000 dollari statunitensi, sono molto più bassi di quello che la clientela si aspettava e ciò ha contribuito al successo delle vendite. Il mercato del Sud-Est asiatico, con oltre 600 milioni di consumatori, è sempre più al centro dell’attenzione delle case automobilistiche che cercano di espandere le vendite, soprattutto di veicoli elettrici. La Thailandia in particolare è uno dei mercati più dinamici per le auto elettriche in Asia. Oltre a Tesla e BYD, Nissan ha fatto della Thailandia un hub regionale per i veicoli elettrici, mentre Mercedes ha dichiarato che presto annuncerà le vendite del suo nuovo modello EQS450+. Più recentemente, anche Toyota ha fatto il suo ingresso nel mercato di veicoli elettrici thailandese traendo vantaggi da sussidi governativi. La Thailandia rimane però principalmente una terra di veicoli alimentati a benzina, diesel e GPL, anche se si sta espandendo una rete nazionale di stazioni di ricarica. Tesla ad esempio ha dichiarato che aprirà la sua prima stazione Supercharger nel Paese entro marzo, prevedendo di installarne almeno 10 nella nazione entro il 2023. Nithi Thuamprathom, esperto di auto per Auto Life Thailandia, ha affermato che il lancio di Tesla darà probabilmente un ulteriore impulso al mercato dei veicoli elettrici in Thailandia, soprattutto grazie ai prezzi competitivi e al valore del marchio. Tutto ciò genererà un grande cambiamento nel mercato automobilistico thailandese.