Nella storia della Cina dal 1949 a oggi, il partito comunista ha più volte «mobilitato» organi dello stato, amministrazioni e popolazione, per ottimizzare le risposte in casi di emergenza e crisi improvvise, quei «cigni neri» (gli eventi inaspettati) da cui aveva messo in allerta Xi Jinping mesi fa. La risposta all’epidemia di Sars del 2003 e il terremoto del Sichuan nel maggio del 2008 sono esempi di quanto il Pcc intenda per «mobilitazione», considerata fondamentale per quello che viene definito il «successo nella ricostruzione».
UNA CRISI, UN’EMERGENZA, possono creare dei meccanismi spinti dall’alto in grado di riporre il Pcc al centro della scena sociale in Cina, quale motore ed equilibratore di situazioni complicate anche nel tentativo di fare dimenticare le iniziali manchevolezze della macchina politico-amministrativa.
La mobilitazione (dongyuan) è infatti un concetto fondamentale nella politica contemporanea cinese. Come ricorda Li Zhiyu in Afterlives of chinese communism (Verso, 2019) il termine «indica l’uso di un sistema ideologico da parte di un partito o di un sistema politico per incoraggiare o costringere i membri della società a partecipare a determinati obiettivi politici, economici o sociali, al fine di raggiungere risultati e un corretto dispiegamento di risorse e persone su larga scala». È quanto sta accadendo con il coronavirus.
RILEVAMENTO di temperatura ovunque, specie nelle entrate delle metropolitane. Pulizia costante dei mezzi pubblici, laddove non ne sia stata bloccata la circolazione. Ogni città ha fatto il suo: in alcuni posti si sono ridotti gli orari di lavoro dei supermercati o dei centri commerciali per evitare rischi contagio, in altri – specie nei villaggi – tutti cercano di aiutare come possono i medici incaricati di andare di casa in casa a rilevare febbre e segnalare eventuali contagi. Con il blocco dei mezzi molti privati si sono messi a disposizione di ospedali per trasportare materiali da un luogo all’altro, dedicando l’intera giornata a questo. Qualcuno ha raccontato di temere il contagio, ma di sentire altresì la necessità di dare una mano. Esercito, medici inviati sul posto ma anche la quarantena in quindici città, la più grande della storia.
Come ha specificato He Qinghua, un funzionario della commissione nazionale sanitaria cinese, «Dobbiamo dare il massimo quanto alla capacità di mobilitazione delle comunità, specie quelle rurali, affinché tutti gli sforzi siano concentrati nel frenare la diffusione del virus». Nonostante il – grave – ritardo con cui la Cina ha cominciato ad affrontare il coronavirus e la sua diffusione, la popolazione cinese, al momento, sembra disposta a sostenere le decisioni arrivate dall’alto.
IL FATTO CHE LI KEQIANG, il numero due, si sia recato a Wuhan, nel luogo centrale della propagazione del virus, e che Xi Jinping abbia incitato i cinesi ad affrontare questo evento «diabolico», sembrano aver iniettato nella popolazione una fiducia capace di mettere in secondo piano, al momento, l’impasse dimostrata dalla burocrazia nell’affrontare l’emergenza. Li Keqiang, dopo il suo accorato appello direttamente da Wuhan, ha ricordato agli organi scientifici di dover «correre contro il tempo per scoprire l’origine e il meccanismo di trasmissione del nuovo coronavirus, la ricerca sullo sviluppo del vaccino e fornire supporto tecnologico per migliorare la diagnosi e il trattamento». In generale la politica ha fatto un chiaro riferimento alla popolazione invitando alla mobilitazione generale.
A PARTIRE PROPRIO dagli abitanti di Wuhan che, tra qualche isterismo provocato da rumors velocissimi a diffondersi su WeChat e l’urlo liberatorio (Wuhan jiayou, forza Wuhan) nel cuore della notte di una città in quel momento completamente deserta, sta affrontando l’imposizione della quarantena cercando di gestire al meglio la preoccupazione dovuta all’assenza di una prospettiva chiara della situazione di emergenza. I problemi sono ancora quelli iniziali, pochi medici e pochi posti; anche per questo si stanno tirando su in fretta due ospedali d’emergenza solo a Wuhan.
Del resto in passato è andata più o meno nello stesso modo, ma i ritardi politici erano stati molto prolungati dando l’impressione di essere fatali. Nel caso del coronavirus la lentezza della risposta statale ha causato danni, ma sembra assodato che i cinesi in questo momento preferiscano dedicarsi alla ricerca di soluzioni anziché puntare il dito.
NEL SISTEMA CINESE ci sono tante difetti ma alcune certezze. Una di questa è la punizione dei funzionari ritenuti responsabili di atteggiamenti che hanno messo a rischio la salute della popolazione. Ugualmente consueta è la partecipazione alla «mobilitazione» da parte di miliardari e delle più importanti aziende del settore hi-tech o statali. Jack Ma, fondatore di Alibaba, ha annunciato che donerà 100 milioni di yuan (14,4 milioni di dollari) per sostenere la ricerca di un nuovo vaccino. Come riporta Agenzia Nova 13 aziende tra cui China Post, SF Express e JD hanno aperto passaggi verdi per materiali per combattere il nuovo coronavirus.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.