Missili e manette. Mentre dall’isola di Pingtan partivano undici Dongfeng in direzione dello Stretto, a Wenzhou veniva arrestato Yang Chih-yuan.
PUÒ SEMBRARE un dettaglio insignificante se paragonato al fatto che quattro dei missili balistici lanciati dall’Esercito popolare di liberazione hanno sorvolato Taiwan, uno direttamente la capitale Taipei. Non lo è.
Yang, 32 anni, è originario di Taichung ma vive da tempo in Cina continentale. La polizia locale lo ha arrestato per la sua presunta partecipazione ad «attività separatiste» e per aver dunque messo «in pericolo la sicurezza nazionale», il mantra della Cina dell’era Xi.
Secondo l’agenzia Xinhua, Yang «difende l’indipendenza di Taiwan da tempo» e «ha collaborato con altri per creare un’organizzazione illegale» con l’obiettivo di «spingere affinché Taiwan diventi uno stato sovrano e si unisca alle Nazioni unite».
Non sono stati forniti ulteriori dettagli sulle azioni che avrebbe messo in pratica l’uomo, che diventa suo malgrado la risposta diretta a uno degli incontri svolti da Nancy Pelosi nelle sue 19 ore a Taipei, quello con Lee Ming-che.
Si tratta dell’attivista che nel 2017 era stato arrestato e condannato a cinque anni per sovversione, prima di essere liberato lo scorso aprile. Pelosi ha incontrato Lee al museo dei diritti umani di Jing-Mei insieme a Wu’er Kaixi, uno dei leader delle proteste di Tian’anmen.
L’arresto di Yang è un episodio che può preoccupare molto i taiwanesi, per certi versi anche più delle esercitazioni. Perché ha un aspetto individuale e perché i taiwanesi che vivono e lavorano nella Repubblica popolare sono quasi due milioni per una popolazione totale inferiore ai 25 milioni.
UNA VICENDA che ricorda quella di Wu Rwei-ren, raccontata qualche tempo fa da il manifesto, storico e politologo dell’Accademia Sinica di Taipei e primo taiwanese accusato con la legge di sicurezza nazionale di Hong Kong. «Sì, nei prossimi mesi ci aspettiamo qualche annuncio da parte di Pechino», ammette un funzionario del governo taiwanese.
Il riferimento è al XX Congresso del Partito comunista cinese del prossimo ottobre. Già negli scorsi mesi si era parlato di un affilamento dell’arsenale normativo a disposizione del governo cinese verso Taiwan. Per intimorire e perseguire la «riunificazione», o garantire una base legale per un attacco militare.
Circola l’ipotesi di una nuova legge per la riunificazione. Sarebbe un netto cambio di paradigma perché nel mirino non ci sarebbero più solo i cosiddetti «secessionisti» ma tutti coloro che non si prodigano alla «riunificazione». Il caso di Yang sembra anticipare questa possibile svolta.
INTANTO, PERÒ, volano i missili. Le esercitazioni militari iniziate a mezzogiorno di ieri sono le più vaste e avanzate di sempre. L’enfasi data dai media cinesi è sul termine «accerchiamento».
E soprattutto quella sembra l’intenzione dei test: dimostrare la capacità dell’esercito cinese di bloccare le vie aeree e navali di Taiwan e di poter essere in grado di condurre una potenziale attacco militare vero e proprio.
«Con questi test Pechino sta utilizzando la visita di Pelosi per perseguire altri obiettivi, espandendo e normalizzando la propria presenza militare e paramilitare nello Stretto di Taiwan, anche sul versante taiwanese – dice Amanda Hsiao, analista di Crisis Group – Cambiare lo status quo utilizzando una crisi, proprio come accaduto nella crisi delle Senkaku del 2012».
Senkaku/Diaoyu che non sono lontane dall’area nord orientale delle esercitazioni. Non a caso cinque missili sono caduti nella zona economica speciale del Giappone, il cui governo ha chiesto l’immediato stop dei test. Il ministro degli Esteri cinese aveva cancellato poco prima l’incontro previsto col suo omologo di Tokyo Yoshimasa Hayashi.
LE PROSSIME 72 ore saranno delicate, col ministero della Difesa taiwanese che ha detto che verrà rafforzata la vigilanza cercando però di evitare l’incidente. I rischi aumenterebbero se, oltre a mandare jet e navi oltre la linea mediana, Pechino li mandasse anche nelle acque territoriali taiwanesi.
Taipei, intanto, continua a vivere senza particolari ansie. «Si fanno piani, contratti e investimenti per i mesi e gli anni a venire», dice il regista italiano Stefano Centini, residente a Taiwan da diversi anni.
LE MANOVRE CINESI hanno lambito anche alcune isole minori amministrate da Taipei. Droni hanno sorvolato l’area di Kinmen, con le forze di difesa delle due isole che hanno lanciato dei bengala per respingerli.
Missili sono finiti al largo delle Matsu. «Le esercitazioni sono una dimostrazione di forza limitata per mostrare il dissenso del governo cinese – sostiene Lii Wen, capo locale del partito di maggioranza – non un atto destinato a degenerare in una guerra vera e propria».
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.