Otto amici, più di 13 mila chilometri, 12 paesi attraversati, questo il bilancio dello Spaghetti Eastern, il team milanese che ha preso parte al Mongolia Charity Rally organizzato da Go Help, associazione di beneficenza inglese con un focus sull’Asia centrale. L’obiettivo: portare a Ulan Bator veicoli – mezzi speciali e non – da mettere all’asta o donare direttamente a strutture sanitarie e Ong del posto.
Un Fiat Ducato che, grazie a continue riparazioni, ha attraversato Slovenia, Ungheria, Serbia, Bulgaria, Turchia, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan e Russia prima di potere varcare il confine mongolo. Nessun aiuto viene fornito dagli organizzatori e ogni team può contare solo sulle proprie forze scegliendo liberamente il percorso.
Il difficile è arrivare, spiega Alberto Bassi, il pilota con un passato nei campionati automobilistici. Per questo, la corsa non ha carattere competitivo. Attraversando il tratto finale in Mongolia abbiamo incontrato altri due ragazzi di Bergamo, il loro mezzo era andato in panne, gli abbiamo dato una mano e alla fine sono arrivati persino prima di noi. Farcela è già un gran risultato. Per fare un viaggio come questo serve lucidità, un po’ di fortuna e capacità organizzativa. Ad esempio, una volta si era staccata la ruota di scorta, non era in perfetto stato e pensavo di tirare dritto senza raccoglierla, ma per fortuna gli altri mi hanno fatto cambiare idea. Visto quante volte abbiamo bucato poi, non potevamo permetterci di lasciare nessuna risorsa a terra.
Turchia e Iran, due mondi in cambiamento. Qualche riscontro?
Mentre in Turchia siamo passati abbastanza di fretta, in Iran abbiamo potuto parlare con la gente del posto, racconta Edoardo Reggiani, il meccanico che si occupa di web marketing. Hanno dimostrato tutti un’indole accogliente, un ragazzo ci ha persino invitato a cena a casa sua e ci ha fatto conoscere l’intera famiglia. Ci facevano molte domande ed erano curiosi nei confronti delle altre culture, anche se partivano sempre dalla propria prospettiva. L’islam è largamente presente nella loro vita quotidiana e, ad esempio, si sono stupiti del fatto che alcuni di noi fossero atei. A colpire noi, però, sono stati soprattutto i grandi manifesti appesi per strada che si pronunciavano contro Israele e a sostegno della Palestina. La crisi che sta attraversando tutt’ora il Medio Oriente era molto sentita a livello popolare.
E in Turkmenistan l’avete incontrato Niyazov?
Sì, abbiamo visto non poche delle sue statue. Il pubblico culto di questo dittatore, morto nel 2006, sembra ancora diffuso. Il paese però fa schifo, si lascia scappare Francesco Negrini, il medico che fa la ‘guardia’ nel Trezzano Basket. Strade spesso impraticabili, povertà diffusa, coprifuoco alle dieci, continui posti di blocco e vendita di contrabbando compiuta anche da ragazzini. Una volta ci ha fermato la polizia perché andavamo troppo forte, ma quando hanno saputo che eravamo italiani, la multa si è più che dimezzata. Sì, l’Italia ci ha fatto fare spesso buona impressione e qualcuno ci cantava anche Toto Cotugno. Noi, da parte nostra, abbiamo portato delle riserve di spaghetti da offrire a chi incontravamo per “intavolare” un dialogo amichevole. Era il tratto distintivo del nostro team.
In realtà, interviene Edoardo tra il serio e l’ironico, a me piaceva questo paesaggio urbano post-sovietico, pieno di caseggiati enormi e grigi. Sarà, risponde Francesco, ma avevamo tutti una gran fretta di andarcene. In Uzbekistan, vicino a Samarcanda, ha completamente ceduto il telaio e abbiamo portato il furgone da un meccanico. Il regolamento del rally prevede che i veicoli arrivino in buono stato. La sorpresa l’abbiamo avuta quando siamo andati all’appuntamento per riprenderlo: l’officina era chiusa. Un vicino ci ha aiutato a rintracciare il nostro uomo e, aperta la saracinesca, il Ducato era ancora lì, completamente smontato. Abbiamo dovuto prolungare la nostra sosta ben oltre il previsto.
Problemi tecnici e imprevisti non vi hanno spaventato?
No, grazie al cambio favorevole eravamo in grado di sostenere le spese. E poi eravamo in ritardo sulla tabella di marcia. Siamo andati a tavoletta per raggiungere il Kazakhstan e, quando ci siamo arrivati, era tutto l’opposto di quanto avevamo visto in Turkmenistan. Grazie a gas e petrolio, i kazakhi stanno sperimentando una crescita accelerata. Da ogni parte si vedono manifesti che fissano al 2050 il posizionamento del paese fra le 30 maggiori economie mondiali. Noi, viaggiando, abbiamo osservato un territorio che da zona a zona varia parecchio e forse è stato il paese meno immerso nell’islam che abbiamo incontrato.
Si parla spesso di terrorismo islamico per questi paesi. Una vostra impressione?
Non abbiamo avuto sentore di un ambiente estremizzato, non al punto da essere pericoloso per noi in quanto occidentali. Ad esempio, in Iran siamo capitati nel mezzo del Ramadan. Non è che ti guardino male se trasgredisci o mangi il maiale, ma sei proprio tu a sentirti fuori posto. Certo, poi questioni come la condizione della donna saltano all’occhio. Non abbiamo mai avuto problemi neanche con i passaporti. Erano tutt’al più i controlli che, specie in Turkmenistan, potevano diventare esasperanti.
Tappa successiva: la Russia. Perché non tagliare per la Cina attraverso lo Xinjiang?
Altri team ci avevano sconsigliato di percorrere quelle strade, chiarisce Stefano Balocco, il motociclista che lavora come media developer. Mentre parla, i suoi compagni di viaggio lo prendono in giro: ha fatto conquiste nel tratto di Siberia russa. Anche il paesaggio femminile era cambiato, racconta, abbiamo sostato per la notte in questo bar sulla strada cercando di far conoscenza e una donna ha persino insistito per sfidarci a braccio di ferro. Alla fine, abbiamo attaccato bottone anche con gli altri, si sono sciolti e diciamo che ho avuto fortuna, conclude Stefano con un sorriso.
Bene, una piacevole circostanza a due passi dal traguardo, no?
Quasi. Dovevamo ancora attraversare la steppa mongola, un’immensa distesa rada e piatta per lunghissimi tratti. Cinque giorni di nulla attorno a noi. Abbiamo anche sostato in una specie di autogrill, una yurta nel mezzo del niente, e il tramonto in questa pianura infinita ci ha portato in un’altra dimensione, ma non avevamo paura. Ci sentivamo in grado di fare qualunque cosa volessimo.
Lo spavento ce lo siamo presi quando ci siamo persi. Era notte, avevamo deviato dalla via principale e il gps non riusciva a individuarci. Immagina la situazione: non si vedeva niente ed era impossibile orientarsi in mezzo alla steppa. Il vero problema non era trovare un sentiero tracciato, ma sapere dove ci avrebbe portato. Ogni svincolo si diramava in tutte le direzioni e lì potevi affidarti soltanto all’intuizione. Ci si è pure staccata la ruota di scorta e siamo dovuti uscire fuori a riattaccarla mentre pioveva a dirotto. Alla fine, ce l’abbiamo fatta. Siamo riusciti a rimetterci sulla via principale e siamo andati dritti verso Ulan Bator.
Che avventura. Lo rifarete?
Certo. Speriamo anche di trovare qualcuno che ci aiuti per acquistare il veicolo e versare la quota di solidarietà a Go Help. Finora abbiamo raccolto l’adesione degli amici e il finanziamento di piccole aziende a conduzione familiare. Ad ogni modo, si tratta di un sogno che ci portiamo avanti da sempre, fin dai tempi del liceo, ed è stato questo a spingerci a passare dalle parole ai fatti.
*Lorenzo M. Capisani è dottorando in Scienze storiche presso l’Università Cattolica di Milano. Qui nel 2011 si è laureato in Storia della Cina contemporanea con una tesi su "Italia e Cina negli anni Cinquanta". Ha quindi studiato, lavorato e viaggiato in Cina per tutto il 2012. Al suo ritorno ha avuto esperienze professionali diverse pubblicando al contempo due saggi legati alla tesi e, nell’ottobre 2013, ha vinto un bando come ricercatore presso l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale). Dopo vari rinnovi, dal giugno 2014 si è dedicato prevalentemente al dottorato, a cui era stato ammesso in dicembre. Studia il passaggio della Cina dall’impero alla nazione ed è in vista un ritorno per una ricerca sul campo.