Da venerdì scorso le forze di polizia del Bangladesh hanno iniziato una settimana di arresti a tappeto in risposta ai continui attentati contro esponenti di minoranze religiose e progressisti nel paese. I numeri sono impressionanti e volutamente altissimi, segno che l’amministrazione Hasina vuole mandare un messaggio chiaro e tondo al mondo e all’opposizione: il terrore islamico nel paese deve finire.Il cambio di passo è coinciso, abbastanza significativamente, con l’ultimo attentato in ordine di tempo ai danni di una civile inerme. Trattasi della moglie di un ufficiale di polizia, dipartimento antiterrorismo, che stava indagando sulla sequenza di violenze che da almeno un paio d’anni sta scuotendo un paese in larga parte musulmano e tradizionalmente «pacifico».
Prima della donna, nella stessa settimana, erano stati uccisi un prete hindu, un impiegato in un monastero hindu e un negoziante cristiano: tutti uccisi da uomini non identificati, armati di machete.
Da venerdì scorso la polizia nazionale ha iniziato una settimana di retate in tutto il paese, bloccando migliaia di sospetti che potrebbero avere legami con le due sigle del terrorismo islamico autoctono – Jamaat-ul-Mujahideen e Ansarullah Bangla Team – secondo le autorità uniche responsabili delle decine di omicidi mirati degli ultimi anni.
A lunedì 13 giugno, quarto giorno della controffensiva di stato, il numero degli arresti ha superato quota seimila, tra cui si conta almeno un centinaio di «militanti». Gli arresti, ha spiegato alla stampa il capo della polizia bangladeshi A.K.M. Shahidul Hoque, sono stati condotti in base ad accuse specifiche come detenzione illegale di armi, contrabbando e spaccio.
Molti dei fermati, anche tra i non militanti, sarebbero attivisti o membri locali del Bangladesh Nationalist Party (Bnp), il principale partito d’opposizione in Bangladesh (musulmani conservatori). Una circostanza che scopre il fianco del governo dell’Awami League, criticato da esponenti del Bnp per aver deciso di colpire il partito mascherando il tutto con un’operazione «anti-militanza».
La reazione «di forza» dell’esecutivo di Dhaka è la prima di questa intensità, dopo che per mesi le autorità hanno dato l’impressione di brancolare nel buio, incapaci di contenere la diffusione di episodi di violenza settaria nel paese. Fenomeni che, non senza una buona dose di superficialità, la stampa internazionale aveva inserito all’interno dell’offensiva di Isis, paventando una penetrazione dell’organizzazione terroristica anche nel «moderato» Bangladesh.
Un’ipotesi che la premier Sheikh Hasina ha sempre rispedito al mittente, rimanendo sulla posizione ufficiale del suo governo: in Bangladesh Isis non c’è, sono tutti attentati organizzati da gruppi locali con l’obiettivo di destabilizzare il governo.
Dell’ipotesi – secondo chi scrive, altamente improbabile – che Isis abbia effettivamente una radicazione sensibile in Bangladesh, ne avevamo scritto qualche mese fa qui (e le dinamiche di affiliazione e rivendicazione ex post di isis, mutatis mutandis, sembrano purtroppo molto simili a quello che è successo a Orlando domenica).
[Scritto per Eastonline]