Chiunque abbia bazzicato la Cina per lavoro, avrà sicuramente aneddoti divertenti da raccontare sul modus operandi dei businessmen cinesi. Qualcuno potrà ricordare la volta che non ha riconosciuto a un ricevimento un importante imprenditore perché vestito in modo inaspettato per i canoni occidentali. Qualcun altro, invece, potrebbe non ricordare affatto, a causa del baijiu, la grappa cinese, le contrattazioni che – magari al tavolino di una K-tv – hanno portato alla firma di un importante contratto.
Questo tipo di imprenditoria rappresenta – in parte – la prima fase del processo cinese: medie aziende, a conduzione familiare, con importanti connessioni (guanxi) con governo o imprese statali. Imprese antiche, ormai, seppure ancora costole importanti della produzione manifatturiera di Pechino.
Ma la digitalizzazione ha portato a una nuova classe di imprenditori: come si legge su Dasym, società di investimenti olandesi con uffici anche in Cina, “ora, una nuova generazione di imprenditori cinesi sta emergendo in un momento cruciale per i prossimi anni a venire”. Queste aziende sono quelle che devono portare avanti la grande trasformazione cinese sancita dal progetto voluto da Xi Jinping, Made in China 2025.
Tuttavia, “quest’ultima generazione è diversa dalle precedenti generazioni di imprenditori cinesi”. Si tratta di giovani imprenditori, per lo più, nati dunque in una Cina già lanciata nelle riforme, più aperti verso l’esterno.
Inoltre, “dato che questi cinesi sono cresciuti sotto la politica del figlio unico della Cina dal 1979 e nella ricchezza della Cina moderna e urbana, possono avere una predisposizione più liberale e meno conformista”.
Un esempio di questa nuova classe di imprenditori arriva oggi dal settore più in espansione in Cina, ovvero l’intelligenza artificiale. Megvii in questo momento occupa una posizione di rilievo in questo processo.
E il suo management rappresenta una nuova tipologia di imprenditori, capaci di interagire con i media stranieri, partecipare a talk e convegni internazionali, interessati a capire quanto accade anche al di là del proprio paese. Anche Megvii, che pure ha il suo mercato principale in Cina, è interessata a espandersi, e non solo in Asia. Il sogno di queste aziende è diventare globali.
Ha raccolto 750 milioni di dollari di capitalizzazione (tra gli investitori anche il fondo sovrano degli Emirati Arabi), è stata finanziata in precedenza da Alibaba e lavora con il ministero della pubblica sicurezza cinese.
Megvii è l’azienda del momento in Cina e ha appena ottenuto un importante riconoscimento morale, dato che l’Unhcr ha sciolto i dubbi circa la possibilità che il software dell’azienda fondata da tre ex studenti della Tsinghua nel 2011, sia quello utilizzato in Xinjiang e di recente denunciato dopo il ritrovamento di un database. La notizia – in teoria – dovrebbe far ricredere Trump che, proprio con l’accusa di violazione dei diritti umani – nei giorni scorsi sembrava pronto a riservare a Megvii il “trattamento Huawei”, impedendo contatti con i mercati americani.
Non che questa eventualità non sia ancora possibile. Gli Usa potrebbero infatti colpire una delle aziende cinesi specializzate in intelligenza artificiale, una delle tante startup in grado di capitalizzare complessivamente più delle startup americane.
In Cina Megvii gode di una certa fama commerciale da quando Alibaba la finanzia e la utilizza per i suoi servizi di pagamento Alipay (così come l’app Didi (l’Uber cinese, per capirci e gli smartphone Oppo e Xiaomi lanciatissimi sui mercati internazionali), e di credibilità da quando Lee Kai-Fu guru e investitore nell’AI cinese l’ha segnalata tra le tre aziende dal potenziale più dirompente (un’altra è Yitu, specializzata nel l’assistenza vocale, settore ormai di punta in Cina).
Megvii, come racconta Yin Qi, Ceo e cofondatore, ha un campo privilegiato, l’internet delle cose, che tradotto nei suoi servizi trova sfogo con il riconoscimento facciale, Intelligenza artificiale e machine learning per settori industriali insieme alla robotizzazione.
Il suo principale successo ad oggi è Face++, leader in Cina per quanto riguarda il riconoscimento facciale, utilizzata dal ministero di pubblica sicurezza cinese, secondo il quale il software Megvii avrebbe aiutato a catturare almeno 5mila criminali ricercati dal 2016.
Un tema che sta sollevando diverse riflessioni in Cina, molte di più di quante non siano registrate in occidente. Alcuni giorni fa sulla Cctv, la televisione di stato, un programma ha provato a indagare sulla sicurezza dei riconoscimenti facciale.
In generale molti articoli sulla stampa cinese si chiedono quale possibilità esista di vedere il proprio profilo hackerato e la propria immagine usata per atti criminali.
Come ha raccontato il giovane Ceo dell’azienda (inserito nel 2018 dal Mit tra i 35 innovatori under 35), il campo di azione di Megvii è molto ampio: nel 2017, ad esempio, la società ha iniziato una collaborazione con la Foxconn, l’azienda nota al mondo per assemblare Iphone e per aver visto diversi sui dipendenti suicidarsi negli anni 2000, tanto da portare l’azienda a virare sull’automazione. Megvii ha prodotto robot proprio per sostenere le commesse di assemblaggio dell’azienda taiwanese.
“Con le nuove tecnologie emergenti, possiamo affrontare i punti deboli della produzione industriale uno alla volta“, ha detto Yin Qi a un forum organizzato dal quotidiano cinese Caijing a Pechino nel 2017.
Il successo di Megvii dipende da molti fattori, non ultimo l’impegno del governo cinese nella videosorveglianza e nelle smart city (su cui Megvii, ovviamente, punta moltissimo). Ma c’è anche un altro elemento: solitamente il riconoscimento facciale viene pensato sempre in un’ottica business to consumer, mentre in Cina è utilizzato anche lato business to business. Reuters ha messo in fila i diversi utilizzi di Face++ prodotto da Megvii: “Il software di riconoscimento facciale può essere utilizzato per i pagamenti e per prevenire le frodi. La controllata di Alibaba, Ant Financial, ha investito in Megvii e utilizza Face ++ per potenziare il servizio “Smile to Pay” presso un concept store KFC”. Ugualmente è già usato in alcune stazioni ferroviarie e metropolitane, così come è integrato “nella piattaforma City Brain di Alibaba” che governa la smart city di Hangzhou.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.