La protesta tibetana continua attraverso le autoimmolazioni. Dopo le due donne suicidatesi fra sabato e domenica, si sarebbe dato fuoco anche un diciottenne del Sichuan. E il marzo tibetano deve ancora cominciare. Secondo quanto riportato da Free Tibet e da International Campaign for Tibet , nella giornata di lunedì 5 marzo un diciottenne tibetano di nome Dorjee si sarebbe tolto la vita dandosi fuoco a Jia, nella contea di Aba (Sichuan).
Sembra che il giovane si sia autoimmolato in un gesto di protesta contro l’oppressione del governo cinese. A riprova di ciò, gli attivisti sostengono che nel commettere il gestro estremo egli abbia urlato alcuni slogan anti-cinesi, prima di camminare avvolto nelle fiamme verso la sede locale del governo, dove sarebbe stramazzato al suolo.
La storia non è nuova. Quello di Dorjee è infatti solo l’ultimo di tre suicidi politici avvenuti negli ultimi giorni. Sabato lo aveva preceduto Tsering Kyi, diciannovenne del Gansu, e domenica era stata un’altra donna – madre di quattro figli- a togliersi la vita presso il monastero di Kirti.
Più si torna indietro nel tempo e più la striscia di orrori si allunga. Secondo le organizzazioni che lottano per l’indipendenza del Tibet, sono ventisei i monaci che si sono dati fuoco dal 27 marzo 2009 (più forse anche altri tre il 3 febbraio 2012 che non sono mai stati confermati), per protestare contro l’occupazione cinese.
Gli ultimi tre suicidi indicano un vago ncambiamento nella tendenza passata. Nell’ultimo anno a togliersi la vita erano stati soprattutto monaci e soprattutto uomini. Nell’ultimo week-end protagoniste sono state invece due donne e un ragazzo, tutti e tre civili. Il che, sempre secondo gli attivisti, è sintomo di una frustrazione che va oltre i gruppi religiosi.
Si sa ancora poco degli incidenti –un ufficiale, parlando con un giornalista della Reuters avrebbe detto di non aver ricevuto alcuna notizia di Dorjee- e, come nei casi precedenti, è improbabile che le autorità lascino trapelare qualcosa. Tuttavia, queste storie sono esemplari dei tristi atti che accompagano il Losar (il capodanno tibetano) e il mese di marzo in genere.
In questo periodo, infatti, sono tre le date calde: il 10 marzo è l’anniversario dalla fuga in India del Dalai Lama; il 14 marzo è la data simbolo dalla repressione di Lhasa che nel 2008 ha preceduto i giochi olimpici e, infine, il 28 è la festa imposta dal governo cinese per celebrare l’annessione del paese al resto della Cina.
La violenza è salita la punto che quest’anno il capodanno tibetano ha corso il rischio di non essere festeggiato per nulla. A seguito delle varie autoimmolazioni, infatti, la comunità tibetana pareva decisa a non festeggiare. Pechino, tuttavia, ha negato il suo consenso. La festività è stata rispettata, anche se sottotono.
*Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.