La scorsa settimana il Quotidiano Nazionale, con un articolo firmato da Lorenzo Bianchi, ha lanciato il "nuovo" scoop dei proiettili che scagionerebbero i marò. Bianchi, in realtà, si appoggia alle teorie di Luigi Di Stefano, perito di parte civile nel caso Ustica, che da anni sostiene l’innocenza e l’estraneità dei fucilieri di Marina nel caso di omicidio di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, i pescatori morti a bordo del St. Anthony il 15 febbraio del 2012. Niente di nuovo, in verità, ma questa volta grazie allo zelo di Di Stefano abbiamo a disposizione parte dei documenti inviati dai legali di parte indiana al Tribunale del Mare di Amburgo, che il perito (grazie!) si è fatto spedire via mail direttamente da Amburgo.
Si tratta di una documentazione molto densa e interessante, per chi segue il caso, che merita un’analisi fatta senza fretta per capire meglio cosa ci sia di "nuovo". Ma per ora, sulla storia dei proiettili, un paio di cose le possiamo dire.
Di Stefano basa i suoi calcoli sui dati recuperati dal referto dell’autopsia compilato dal dottor K. Sasikala, medico legale di Thiruvananthapuram (Kerala), la persona che ha esaminato i corpi dei due pescatori.
La parte che non torna a Di Stefano è contenuta nel referto che interessa Valentine Jelastine. Sasikala scrive di aver trovato nel cranio di Jelastine un proiettile lungo 3,1 cm. Troppo lungo, secondo Di Stefano, considerando che i proiettili in dotazione ai fucilieri sarebbero solo calibro 5.56 per i fucili Beretta (6) e le mitragliatrici Minimi (2) che hanno in dotazione.
Le ogive dei 5.56, dice Di Stefano, sono troppo piccole per combaciare col proiettile nel cranio di Jelastine; più probabile sia un calibro 7.62, che però i marò non possono sparare siccome, quoto dall’intervista a Di Stefano pubblicata recentemente sul Quotidiano Nazionale: «È una cartuccia molto diffusa in quell’area. È il proiettile dei mitra usati dai pirati della Somalia e dalla guardia costiera dello Sri Lanka sugli Arrow Boat. Gli italiani non hanno armi in grado di sparare pallottole così grosse».
Un inciso prima di proseguire. Lo smontaggio probatorio di Di Stefano (e di chi lo riprende sui media nazionali, a quanto pare in molti) si basa su un solo proiettile tra quelli ritrovati tra i corpi delle vittime (nel corpo di Binki/Pink – diversa traslitterazione, ma è sempre lui – Sasikala ne trova uno lungo 2,4 cm, ad esempio); inoltre, l’esame balistico condotto dalla scientifica indiana (alla presenza di personale militare italiano mandato dalla nostra scientifica in qualità di osservatore) ha dato come esito la compatibilità di due delle armi da fuoco in dotazione ai fucilieri di Marina a bordo della Enrica Lexie.
Più precisamente, il rapporto della balistica – ripreso poi nel rapporto dell’Ammiraglio Piroli consegnato alla Marina Italiana e pubblicato più di due anni fa in esclusiva da Repubblica – dice che le armi che hanno ucciso Binki e Jelastine hanno la matricola dei sottufficiali Andronico e Voglino, non di Latorre e Girone.
E questo è un bel problema che, quando si aprirà il processo, dovranno sbrogliare le parti in causa.
Anche il problema del proiettile troppo lungo, considerando i dati che abbiamo a disposizione, al momento rimane irrisolto. Qui non siamo esperti di balistica e se qualcuno che legge questo blog volesse dare un contributo scientifico sul discorso del proiettile troppo lungo – un secondo parere oltre a quello di Di Stefano – questo spazio è a totale disposizione.
In presenza però di dati parziali- mancano, ad esempio, tutte le indagini successive condotte dalla National Investigation Agency (Nia), la polizia federale che ha preso in mano il caso dalla polizia del Kerala – prima di parlare di "prove definitive che scagionano i marò" sarebbe meglio aspettare almeno la pubblicazione completa dell’impianto accusatorio se non, pazza idea, il processo (quando e dove mai si aprirà).
Per ora, è interessante notare come durante l’ispezione dell’Enrica Lexie, alla presenza del console generale Cutillo e dei maggiori italiani Fratini e Flebus, la polizia del Kerala nella cabina 405 trova – oltre ai fucili Beretta e alle mitragliatrici Minimi – anche una mitragliatrice 7.62 e una scatola da 250 munizioni per la suddetta mitragliatrice. Un’altra scatola di munizioni da 7.62 mm viene ritrovata anche nella cabina numero 329, assieme a munizioni da pistola di 9 mm.
Quindi non è vero che a bordo della Enrica Lexie ci fossero solo armi e munizioni da 5.56 mm e, come minimo, non si può escludere del tutto che i marò interessati nello scontro a fuoco (e a questo punto chissà se sono stati davvero Latorre e Girone o altri due fucilieri) non abbiano sparato anche dei proiettili calibro 7.62. Ammesso che quel proiettile «troppo lungo» sia effettivamente di un calibro 7.62.
Abbiamo abbastanza dati per escluderlo? No.
Ha senso incaponirsi, a distanza di tre anni, su dati parziali che escono alla spicciolata, senza aver accesso a tutto il materiale probatorio (che il Tribunale del Mare, rispondendo alla richiesta di Di Stefano, ha deciso di occultare parzialmente siccome alcuni documenti sono «confidential»)? Credo di no.
Ha senso urlare allo scandalo, al complotto indiano, in presenza di documentazione parziale e sottendendo tra l’altro che gli indiani siano così imbecilli da consegnare al Tribunale del Mare di Amburgo dei documenti che gli si ritorcerebbe contro? Per chi scrive, no.
Dopo una prima analisi superficiale dei documenti resi pubblici da Di Stefano – al quale, nonostante ci "confrontiamo" da tre anni in disaccordo più o meno su tutto ciò che riguarda il caso Enrica Lexie, va il mio ringraziamento per aver condiviso materiale sul quale lavorare – alcune cose non tornano nemmeno a me: ad esempio, non si capisce come mai la mitragliatrice 7.62 non sia stata provata durante l’esame balistico della scientifica del Kerala, e, mi pare, non figuri nemmeno tra le prove repertate.
Non dobbiamo dimenticare che i documenti che abbiamo visionato finora si riferiscono esclusivamente alla prima parte delle indagini, condotte dalla polizia del Kerala; nel gennaio del 2013 il caso passa alla Nia, che conduce ulteriori indagini. Dell’operato della Nia, ad oggi, non sappiamo ancora assolutamente nulla.
Infine, due parole e un disegnino sullo Sri Lanka e la Somalia. Di Stefano e chi lo riprende, ormai da oltre tre anni, insistono nell’incolpare dell’omicidio di Binki e Jelastine o i «pirati della somalia» o la guardia costiera cingalese, che entrambi – in massa – popolerebbero le acque del Kerala «infestate di pirati».
Come già ripetuto a questo punto centinaia di volte – e per chi vuole, lo ribadiscono anche gli avvocati di parte indiana ad Amburgo – i pirati somali in Kerala NON CI SONO. La Somalia è dall’altra parte dell’Oceano Indiano, a migliaia di chilometri di distanza dall’India, ed episodi di pirateria somala in India non se ne sono riscontrati.
Per quanto riguarda il possibile coinvolgimento della guardia costiera dello Sri Lanka, come avevo già scritto sul blog Giap anni fa, trattasi di «panzana grottesca, considerando che le coste del Kerala affacciano ad Ovest mentre lo Sri Lanka si trova a Sud-Est rispetto ad un altro stato indiano, il Tamil Nadu! Gli scontri per le acque di pesca si verificano da anni tra il golfo di Mannar e la baia di Palk, le acque che dividono lo Sri Lanka dal Tamil Nadu. Il Kerala non c’entra nulla».
Dove siano Kerala, Tamil Nadu e Sri Lanka lo potete vedere su Google Maps.
[Scritto per East online; foto credit: Reuters]