Un morto, decine di feriti e un Republic Day interamente deragliato dalla protesta dei contadini è il bilancio della giornata indiana di ieri. Ventiquattro ore che hanno messo definitivamente a nudo la scollatura tra il governo guidato da Narendra Modi e milioni di contadini in agitazione da ormai più di due mesi. Nonostante numerose tavole rotonde tra rappresentanti dei contadini e dell’esecutivo, dopo oltre due mesi di agitazione ancora non si scorge nemmeno l’ombra di un accordo tra le parti per chiudere lo scontro cresciuto intorno alla promulgazione di tre leggi destinate a riformare profondamente il settore agricolo nazionale.
SECONDO LE DISPOSIZIONI formalmente entrate in vigore nel mese di settembre, la compravendita di frutta e verdura all’ingrosso in India sarebbe stata aperta anche ai grandi gruppi privati, «liberalizzando» un settore per decenni fortemente regolato dalla macchina statale.
Se per il governo questa rappresenta una svolta per l’intero settore, un’occasione per modernizzare il comparto agricolo e al contempo massimizzare i profitti anche per i contadini, per chi la terra la lavora ha prevalso il timore di vedere azzerarsi le poche tutele garantite da un mercato calmierato dall’intervento statale, specie per quanto riguarda i prezzi minimi di vendita della merce ortofrutticola.
Una differenza sostanziale di vedute per cui l’esecutivo, lo scorso anno, non ha nemmeno cercato di trovare una sintesi, di fatto escludendo le sigle sindacali dalla riforma. In tutta risposta, i sindacati dei contadini di tutto il Paese per due mesi hanno manifestato portando milioni di braccianti fino alle porte della capitale, chiedendo che le tre leggi fossero immediatamente ritirate.
LA SAMYUKTA KISAN MORCHA – l’organizzazione ombrello che coordina le mobilitazioni contadine – da settimane aveva annunciato un corteo di protesta aperto dai trattori dei contadini. Proprio il 26 gennaio, Festa della Repubblica, avrebbero sfilato per le strade di New Delhi in concomitanza con la tradizionale parata militare.
Quella che doveva essere una manifestazione rigidamente concordata con le autorità di polizia – relegata ai quartieri periferici della città e non sovrapposta ai carri e plotoni delle forze armate – ieri mattina ha preso subito una piega decisamente meno accondiscendente.
Un gruppo di braccianti, in maggioranza provenienti da Punjab e Haryana, ha deciso di anticipare il corteo e deviare dal percorso prestabilito con l’obiettivo di occupare il Forte Rosso di New Delhi, luogo simbolo della democrazia indiana. Nel tentativo di fermare le migliaia di protestanti insubordinati, la polizia ha sparato lacrimogeni e caricato la folla, sbarrando addirittura la strada con camion disposti di traverso per le principali arterie che collegano il Forte Rosso alle periferie: ostacoli che i manifestanti hanno rimosso coi loro trattori.
La stampa locale riporta almeno un decesso negli scontri, un contadino che, secondo i manifestanti, sarebbe stato ucciso dal fuoco della polizia; per la polizia, invece, l’uomo sarebbe morto a causa del ribaltamento di un trattore.
MENTRE LE PRINCIPALI RETI nazionali mandavano in onda la sfilata dei reparti militari in alta uniforme, a pochi chilometri dalla parata del Republic Day andava in scena un’inedita guerriglia: trattori che sfondano le transenne, corpo a corpo tra poliziotti armati di bastoni e contadini armati di sciabole, feriti e cariche di una e dell’altra parte. A migliaia riescono a sfondare all’interno del Forte.
Qualcuno issa sulla sommità del portale di accesso al forte, vicino al tricolore indiano, la bandiera color zafferano «Nishan Sahib», simbolo della fede sikh. Mentre scriviamo non sono ancora chiare le responsabilità della deviazione dal percorso prestabilito. Alcuni media ritengono che a guidare i manifestanti sia stato l’attore punjabi Deep Sidhu, personaggio carismatico che da settimane accusava i vertici della protesta di essere «troppo di sinistra». La Samyukta Kisan Morcha – che con un comunicato ha preso le distanze dalla frangia violenta di ieri – aveva accusato Sidhu di essere un «infiltrato» dell’ultradestra hindu, mandato per esacerbare lo scontro e far saltare le trattative tra le parti.
LA CONDANNA PER LA SVOLTA violenta della protesta è arrivata unanime da tutto l’arco parlamentare: il Bharatiya Janata Party (Bjp, partito nazionalista hindu guidato da Modi) ha accusato i manifestanti violenti di «sentimenti antinazionali»; le opposizioni, da Rahul Gandhi dell’Indian National Congress, hanno preso le distanze dai violenti, sostenendo invece la maggioranza dei manifestanti rimasti pacifici per tutta la giornata. Il timore è che alla luce degli scontri di New Delhi, il governo abbia ora il pretesto per colpire l’intero movimento contadino, con cui non sembra ormai più possibile raggiungere alcun accordo.
[Pubblicato su il manifesto]