Un anno fa, il 30 giugno 2022, Ferdinand Marcos Jr. diventava ufficialmente presidente delle Filippine. Parliamo di lui in questo estratto dal nostro ultimo e-book sui leader meno raccontati dell’Asia
Raffreddare le relazioni con la Cina, rafforzando al contempo l’alleanza con gli Usa, serve a coltivare l’affezione dell’elettorato. Una strategia che negli ultimi mesi ha premiato Marcos assicurandogli un tasso di gradimento del 78%, ma c’è anche un secondo obiettivo: quello di ripulire l’immagine della famiglia Marcos a livello internazionale, soprattutto in occidente
“Bentornato alla Casa Bianca”. Un sorridente Joe Biden accoglie Ferdinand Marcos Jr. tra i flash impazienti della stampa. Marcos è il primo capo di Stato filippino a visitare la residenza ufficiale del presidente americano nell’ultimo decennio. È anche il figlio dell’omonimo dittatore che negli anni ‘70 governò l’arcipelago asiatico con il pugno di ferro. Su di lui incombono pesanti accuse internazionali di violazioni dei diritti umani. Ma il passato è passato. Interessi e preoccupazioni comuni giustificano la reciproca amnesia: le tensioni nel Mar cinese meridionale e le mire di Pechino su Taiwan non sono un cruccio solo per le Filippine.
Lo sono anche per Washington, alleato militare tanto di Manila quanto di Taipei. I principi di democrazia e “buon governo” contano un po’ meno quando si tratta di cementare (o ampliare) i sodalizi regionali in chiave anticinese. E così anche un Marcos può tornare comodo, se disposto a prendere le distanze dall’incombente vicino. La sicurezza, certo. La minaccia di Pechino è ugualmente al centro dei pensieri del presidente filippino. Soprattutto dopo le recenti incursioni cinesi in acque contese.
Ma il riavvicinamento agli Stati Uniti ha anche motivazioni di politica interna. Eletto nel giugno 2022 con il 59% dei voti, Marcos sa bene quanto i rapporti con la Repubblica popolare siano un tema sentito dall’opinione pubblica. Secondo la The State of Southeast Asia 2023 Survey, ricerca pubblicata a inizio anno, oltre la metà dei filippini non si fida della Cina, il valore più alto tra i paesi del Sudest asiatico. D’altronde, la postura “filocinese” del predecessore, Rodrigo Duterte – disposto ad accantonare le dispute territoriali – aveva generato non pochi malumori. Raffreddare le relazioni con Pechino serve quindi a coltivare l’affezione dell’elettorato.
Una strategia che negli ultimi mesi ha premiato Marcos assicurandogli un tasso di gradimento del 78%, secondo Pulls Asia. Complice anche la buona performance economica, che nel secondo trimestre dell’anno ha visto il pil espandersi a un ritmo del 7,5%. Ma legarsi più strettamente agli States svolge al contempo un altro scopo: quello di ripulire l’immagine della famiglia Marcos a livello internazionale, soprattutto in Occidente. Non è un caso che dall’inizio del suo mandato il presidente filippino abbia già effettuato circa dieci viaggi all’estero, di cui due proprio negli Stati Uniti.
Marcos Jr. sembra deciso a riscattare la memoria dei genitori. Soprattutto quella del padre da cui ha preso il nome: l’uomo che dal 1965 al 1986, per un ventennio, governò con il pugno di ferro proclamando la legge marziale e reprimendo l’opposizione. Fuggito dal Paese dopo un’insurrezione popolare, il vecchio leader morì in esilio alle Isole Hawaii nel 1989
[L’articolo continua sul nostro ultimo e-book, L’Altra Asia: qui per sapere come ottenerlo]Di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.