Manutenzione della notizia e decadimento degli esteri

In by Simone

Il web e l’arte della manutenzione della notizia è un’occasione per ripensare ai paradossi sui quali viaggia il mondo dell’informazione (italiano e non). E in questo dibattito entra anche il direttore di China Files che sposta la lente dalla nostra angolazione: come sono raccontati gli esteri e in particolar modo l’Oriente.
Ho letto con attenzione, piacere e apprezzamento, il libro di Alessandro Gazoia, aka Jumpinshark, Il web e l’arte della manutenzione della notizia, edito da Minimum Fax, qui il link. Perché è scritto bene, perché ricco di materiale e perché apre a suggestioni e derive destinate a narrare un momento, che sebbene sia in costante mutazione, scandisce i tempi di un cambiamento epocale.

Ho letto un libro brillante in molto più tempo di quello che una lettura veloce, per ritmo e completezza, suggerisce, perché leggendolo ho dovuto più volte distinguere la mia scissione, o recuperare ragionamenti fatti in vesti diverse. Ho infatti letto il libro sia da fruitore di quotidiani, news e articoli on line, sia da produttore di articoli (con molte delle realtà rappresentate nel libro collaboriamo come China Files) sia come “competitor”, perché se Jumpinshark cita (grazie, per altro) China Files, al pari di Effecinque e Formiche Blu, come una delle realtà che si distinguono per un approccio business to business, è anche vero che noi sul sito mettiamo materiale che di fatto si contende un “pubblico” con i media mainstream, qualora questi trattino di Cina e Asia in generale (se la citassero più spesso saremmo ancora più in concorrenza e su questo tornerò in seguito).

Poi improvvisamente, nel mezzo delle conclusioni, un flash. Ho dovuto switchare dal Kindle al computer, aprire un browser, attivare la vpn, siamo pur sempre in Cina e cercare a memoria su Google, “intestino” + “vibratore” + “Cina”: trovato al primo click.

Il 18 ottobre su Corriere.it appare questa notizia:

(ANSA) – SHANGHAI – Un uomo è rimasto per cinque giorni con un vibratore nell’intestino prima di ricorrere alle cure dei medici per rimuoverlo. Lo scrive lo Shanghai Daily. Un giovane di 30 anni si è presentato venerdì scorso all’ospedale Zhongshan di Shanghai con il vibratore nell’intestino che – scrive il giornale – ‘aveva usato per aumentare il piacere sessuale con sua moglie’. I medici hanno estratto il vibratore, 23 centimetri di lunghezza per otto di diametro, senza ricorrere alla chirurgia.

Quindi, sconsolato, ho esclamato dentro di me: ma di cosa stiamo parlando? (la frase in realtà era molto più colorita da un punto di vista dello slang)

Ora, prima di vedere come sono uscito da questa debacle interiore e intellettuale, un brevissimo ragionamento su quanto sostiene Jumpinshark. Ovvero che ci sono dei media mainstream che potrebbero cambiare il proprio approccio al mercato, garantendo per altro un indotto di novità e freschezza di cui potrebbe giovare tutto il settore. Ma non vogliono. E poi ci sono attori minori che invece sperimentano e cambiano l’approccio della “manutenzione” della notizia on line. Il primo punto che mi ha affievolito la delusione al pensiero dell’importanza per la conoscenza della Cina di scoprire che tolgono i vibratori dall’intestino a mano (“senza ricorrere alla chirurgia”; belin) è che come China Files lavoriamo principalmente con questi attori citati dal libro della Minimum Fax.

Poi mi è venuto in mente un altro fattore. E cominciamo a scandagliare alcuni esempi che spero chiariscano cosa intendo per “decadenza” ma che allo stesso tempo permettono di capire come le abitudini dei colossi dell’informazione portino con sé sconfitte e vittorie nello stesso istante, a causa del nodo ingarbugliato che ormai si è creato (che poi sarebbe da chiedere ai direttori di queste testate: pensate che il pubblico sia una massa di coglioni perché legge le vostre colonne di destra, o pensate che siano dei coglioni dato che gli propinate le colonne di destra?)

E come gli “esteri” costituiscano un intruglio di tutto questo processo apparentemente così difficile da sciogliere e riportare a categoria conosciute.

Il primo esempio (in questa recensione, risposta, saranno tre) che mi è venuto in mente è questo. E faccio una premessa – un inciso che spero non sia troppo trapattoniano ma che evidenzia la “narrazione tossica” di un evento, come hanno detto i Wu Ming. Il caso dei marò. Il 7 novembre 2012 il nostro Matteo Miavaldi scrive su China Filesil caso Enrica Lexie” mettendo in evidenza tutto quello che i media italiani avevano lasciato perdere. Non dico che Matteo abbia ragione e gli altri torto (in parte lo penso, sono partigiano, di sinistra, con anni di vita negli spazi sociali, per chi vuole che sia chiaro: si i centri sociali, da attivista non da “compagno del sabato sera”), penso che Matteo abbia fatto quello che altri semplicemente non hanno fatto: è andato a fondo. A noi hanno ancora insegnato e ci ricordiamo che il giornalista deve essere occhi per chi non è nei posti e deve scavare, tirare fuori quello che altri non tirano fuori. Anche, perfino!!, se non l’ha scritto il New York Times e quindi poi Repubblica e Corriere, ad esempio.

Allora noi come al solito, come China Files, proponiamo ai nostri media con cui collaboriamo la notizia, ovvero “vi interessa sapere alcune cose che non sono state dette sui marò”? Nessun interesse. Matteo, casualmente, scova una discussione al riguardo su Twitter, segnala il pezzo ai Wu Ming e nasce l’idea di scrivere una cosa organica per il loro blog, Giap. Il pezzo va su durante le vacanze di Natale e fa andare col culo per aria sia il loro server, sia il nostro, per link di rimbalzo. Il primo dato è: noi e i Wu Ming siamo misci, come diremmo a Genova, senza una lira e il server è quello che è.

Ma soprattutto il successo del pezzo, cui è seguita una controinchiesta collettiva che darà frutti nei prossimi tempi, stay tuned al riguardo, significa che c’è un pubblico, della ggggente, che è interessata ad andare a leggere una notizia che “scava”, cerca, scruta, scuote il consueto copia e incolla di qua e di là. Analogamente, questa sconfitta della notizia breve e rapida, segna però la vittoria del mainstream. Se i media principali non avessero battuto così tanto, anche se superficialmente, sulla notizia dei marò nessuno sarebbe andato su Giap per saperne di più. E arriviamo alla seconda conclusione, specifica per gli “esteri”: in Italia siamo abituati a guardare il nostro ombelico e gli esteri “fanno breccia” se in qualche modo sono collegati all’Italia (l’Imu alla cinese, il Grillo kazako, il Di Pietro bielorusso, il bunga bunga alla singaporeana… esempi alcuni reali, altri meno).

E al termine di questo processo, (ricordate la partenza? L’articolo proposto il 7 novembre) il Fatto Quotidiano scrive un pezzo sulle novità del caso. Il cerchio si è chiuso, ma che fatica!

Secondo esempio del meccanismo perverso dei media italiani in fatto di esteri: l‘esterofilia fine a se stessa. Alcune settimane fa il Financial Times ha fatto uscire un pezzo nel quale annunciava che – secondo fonti non specificate – la Foxconn avrebbe introdotto le votazioni per fare eleggere i sindacati aziendali. Rivoluzione! Foxconn, Apple, Financial Times, tre parole chiavi imperdibili per il nostro mainstream. Ed ecco che la notizia – paro paro, tradotta identica – è apparsa sui media nostrani. (non posso fare nomi, ma un giornalista in privato mi ha detto di aver provato a sentire qualcuno – magari per un’intervista, cose dell’altro mondo! – ma di aver ricevuto l’ordine: “nahhh, copia il FT e basta”, per dire).

Certo, una notizia così fa gola. Ma alcuni giorni dopo è venuto fuori molto chiaramente come il Financial Times abbia utilizzato una fonte non confermata dalla Foxconn, intanto. Inoltre leggendo bene come funziona il sindacato nelle fabbriche Foxconn si sarebbe scoperto molto presto che si tratterebbe di una eventuale, se mai sarà confermata, “minima” svolta (senza contare la generale disillusione dei lavoratori nei confronti del sindacato o il fatto che la maggior parte di loro neanche sa cosa sia un sindacato, tanto per indicare due traiettorie possibili circa l’argomento, per ampliare un eventuale “pezzo” su “ha scritto il Financial Times…”. Eppure è bastato che la notizia – o la non notizia – uscisse sul Financial Times per essere sparata, in alcuni casi pateticamente senza citare neanche la fonte, come notizia fondamentale dalla Cina.

E su questo, osservando come lavorano i giornalisti stranieri, ci sarebbero da precisare alcune cose. Intanto, la potenza di fuoco. Ansa in Cina, ad esempio, ha due persone. Corriere e Repubblica una (e di fatto il corrispondente di Pechino finisce per coprire tutta l’Asia!). Al mio ultimo check EFE, l“Ansa” spagnola, altro organo di informazione di un paese in crisi economica pari – se non peggio – all’Italia, aveva dodici persone. Bloomberg quando fece il reportage da Chongqing, sullo scandalo Bo Xilai, mandò giù tredici persone (tredici, 13!, viaggi, alloggi, spese, senza contare le stecche alle fonti ecc.). Il New York Times difficilmente firma i pezzi dalla Cina senza citare almeno tre o quattro collaboratori. Per fare degli esempi.

A questa potenza di fuoco però non sempre corrisponde una qualità di uguale portata e questo sarebbe il caso di farlo notare una volta per tutte. In molti casi fanno davvero lo scoop – e sono gli unici ad avere le entrate per farlo – e hanno firme di assoluta qualità (penso a Osnos del New Yorker o Barboza del Times o Garnaut per la stampa australiana) ma molte volte riprendono, come noi poveri italiani, quanto esce da fonti che raccolgono notizie come briciole da un tavolo o dai media cinesi. Però se la stessa notizia pescata dai media cinesi, esce sulla BBC (che la lavora dal desk in UK) e su China Files, cui aggiungiamo una specie di contorno basato sul fatto che stiamo qui e per certi versi fungiamo anche da memoria storica, le poche testate che citano le fonti e che sono soprattutto online, ad esempio, citano la BBC.

E le nefandezze della stampa straniera – ehm e non solo – sono anche abbastanza recenti, basti pensare alla Ferrari rossa del figlio di Bo Xilai (leggete Beniamino Natale, storico corrispondente asiatico dell’Ansa)

Infine, un ultimo esempio. Abbiamo visto la sconfitta e la vittoria dei media mainstream nella proposizione degli esteri, l’esterofilia ingannatrice e ora vediamo che la distanza ormai tra i mondi è labile e che a scavare chissà quanti spunti si potrebbero trovare, se solo si capisse che la conoscenza dei luoghi e la profondità con cui si può indagare dicono tanto anche di posti lontani. Un esempio è lo scandalo Finmeccanica e il delirio di inchieste che hanno portato Italia e India ancora una volta così vicini nelle cronache.

In un mondo globalizzato, dunque, è piuttosto miope e sterile continuare ad offrire lo “strano ma vero”, l’”esotico” e compagnia cantante. Perché succede che bene o male le persone finiscono per informarsi, ancora, e giungere poi nei luoghi con quel genere di “imprinting”, finendo per non ritrovarsi nelle realtà spesso raccontate con enfasi così distante e invece spesso così simili a noi.

Questi sono solo alcuni spunti, i nostri due cents alla discussione aperta da Jumpinshark.